Bruno, come detto, era conosciuto da tutti in città, anche per il burrascoso passato. Lo era per le poesie a mo' di murales che scriveva sotto i portici del Comune. Per le sue passeggiate in bici o su un vecchio motorino in centro, chiedendo una sigaretta a chiunque incontrasse, dispensando a tutti saluti amichevoli.
Una lunga parentesi vissuta in carcere per una storiaccia che non voleva ricordare, Bruno Riccioni negli ultimi anni della sua vita aveva trovato nei versi («una passione che ho da ragazzino» raccontò a Il Messaggero in un servizio del dicembre 2012) la strada per dare dignità ai suoi sentimenti, anche di fronte a chi ancora lo identificava con un passato burrascoso, costellato di qualche inciampo giudiziario («quelle esperienze sono servite a farmi scoprire la poesia e crescere dentro»).
Infanzia difficile, lunghi periodi trascorsi in collegio, fino a quel giorno in cui Bruno non fu più se stesso, non riuscì a controllarsi e, durante una lite in strada, ferì la moglie a coltellate. Un maledetto raptus, che l'ha segnato anche negli affetti più cari e che lo ha accompagnato fino alla morte.
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