Unioni civili, il patto divide i centristi: una decina pronti a dire no

Unioni civili, il patto divide i centristi: una decina pronti a dire no
di Nino Bertoloni Meli
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Giovedì 25 Febbraio 2016, 09:16
Alla fine è andata proprio come Matteo Renzi voleva e sperava. Si incassano le unioni civili, si dice addio per sempre al M5S, si rinsalda la maggioranza di governo e magari si allarga per l'occasione al gruppo di Verdini, e si riesce pure, come sperato, ad avere il dissenso di alcuni centristi ncd che non guasta, a dimostrazione che la legge è buona al punto che Formigoni, Sacconi, D'Ascola e qualcun altro si defilano.

«Se qualcuno di Ncd non ci sta, facciamo cappotto», aveva confidato Renzi ai suoi. «Ma vi rendete conto di quel che sta succedendo? Ncd vota le unioni civili, capito?, le u-nio-ni ci-vi-li, chi l'avrebbe mai pensato solo qualche tempo fa?», la domanda retorica con risposta incorporata di Ettore Rosato, il capogruppo del Pd alla Camera al quale toccherà quanto prima avviare il percorso sulla stepchild adoption, per la quale, a quel che si dice, il Pd ha già chiesto la corsia preferenziale. Cappotto o meno, se Sacconi & co. (si parla di minimo tre e massimo otto dissidenti) non voteranno la fiducia, bisognerà capire se si saranno posti fuori dalla maggioranza senza ritorno, o se adotteranno la più morbida opzione di uscire dall'aula al momento del voto, con il che nessuno li farà uscire dalla maggioranza (un po' come fecero alcuni della minoranza dem sulle riforme).

«Una pagina importante per l'Italia, andando oltre irrigidimenti, strumentalizzazioni e uno stallo che durava da anni», esulta il premier con i collaboratori. «Adesso i culturisti del no, gli stakanovisti della palude proveranno a rovinare la festa. Ma è stato fatto un gran lavoro, di responsabilità, di ragionevolezza che finalmente riconsegna a tutte le persone che si amano i diritti che venivano loro negati da decenni». L'accordo è stato raggiunto in serata, ma che fatica. Per tutta la giornata si sono susseguiti avvertimenti e penultimatum, irrigidimenti e simil rotture, ma in pochi si mostravano preoccupati sul serio.

I bene informati raccontano che Renzi e Alfano l'intesa tra di loro l'avevano già raggiunta domenica scorsa se non prima, almeno da quando il premier tornò dall'Argentina e si trovò che i cinquestelle avevano ”saltato” il canguro e, capita l'antifona, si era sentito con Angelino per correre ai ripari e imbastire una diversa strategia. L'accordo si basa su una sorta di pari e patta: i centristi cattolici ottengono lo stralcio della stepchild e l'annullamento di riferimenti ai matrimoni (tolto ”l'obbligo di fedeltà” come si recita nei matrimoni veri), il Pd e i laici ottengono che resti l'impianto del ddl Cirinnà escluso l'articolo 5, unito all'impegno stringente di affrontare la stepchild in una apposita legge sulle adozioni. Fatto sta che il tira e ancora tira la corda da parte centrista ha irritato altri settori centristi interni ai dem. Se ne è fatto portavoce Giacomo Portas, dei ”moderati” del Pd: «Non ci siamo proprio. Una cosa è chiedere e ottenere lo stralcio della stepchild, anch'io ero a favore, ma dopo non puoi continuare a sollevare problemi, così dimostri solo di non volere estensione di diritti ma solo discriminazioni inaccettabili. Se non ci fossero state le amministrative vicine, probabilmente questi dissensi non sarebbero esplosi, ma sapete com'è, Ncd a Milano sta con FI e sostiene Parisi...».

I NUMERI
C'è poi il problema dei numeri. Il gruppo Ala di Denis Verdini è in gran fermento, sente e vede che i loro 19 voti si fanno sempre più determinanti, non tanto per far passare il maxi emendamento, quanto per raggiungere la fatidica quota di maggioranza a 161. «Ma no, vari altri provvedimenti, anche con la fiducia, sono passati con 150-155 voti, Verdini non sarà determinante», cercavano di sminuire dalle parti del Pd. Fatto sta che proprio ieri in aula al Senato è stato votato il decreto milleproroghe e ha ottenuto 155 voti, con i verdiniani attestati sul no, come a dire: se volete toccare quota 161, di qui dovete passare. Ma in serata lo stesso Verdini ha dovuto e voluto smentire dichiarazioni e retroscena a lui attribuiti, «quel che farò lo dirò apertamente in aula».

Nel Pd la minoranza continua a evitare le barricate, anche se Pierluigi Bersani ha voluto precisare che lui la fiducia non l'avrebbe messa, «è un errore», che con il M5S in aula si poteva ancora vedere di fare un tratto di strada e via criticando, per poi concludere con una battuta su Verdini: «Un voto di coscienza, il suo». All'ex segretario del Pd non va giù l'approdo verdinianio dalle parti della maggioranza, e qualcuno ha letto nelle sue parole una sorta di disapprovazione per la scarsa vena battagliera mostrata dai suoi al Senato (Migliavacca escluso).
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