Scontro Renzi-Ue, il premier sceglie la linea dura: «I 3,2 miliardi di flessibilità me li prendo»

Scontro Renzi-Ue, il premier sceglie la linea dura: «I 3,2 miliardi di flessibilità me li prendo»
di Alberto Gentili
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Martedì 2 Febbraio 2016, 08:41 - Ultimo aggiornamento: 12:47

«Sono stufo dei due pesi e delle due misure che penalizzano sempre l'Italia. Facciano ciò che credono, aprano pure una procedura d'infrazione, ma noi quei 3,2 miliardi di flessibilità ce li prendiamo. E ce li prendiamo in nome della crescita». Per quattro ore Matteo Renzi si è morso la lingua, determinato a non rispondere «al solito portavoce» della Commissione o all'«immancabile euroburocrate» di Bruxelles. Ma poi alle quattro del pomeriggio, mentre è in Nigeria per una visita di Stato, il premier decide di andare alla guerra, stanco di ricevere ultimatum e sgarbi «dai professionisti dello zero virgola».

LO SCONTRO CON BRUXELLES
A spingere Renzi a calzare l'elmetto - dopo le liti delle settimane scorse con Jean-Claude Juncker, il ruvido faccia a faccia con Angela Merkel di venerdì a Berlino e dopo che alcuni sondaggi avrebbero rivelato che il 68% degli italiani apprezza la linea euro-critica - è stata la nuova doppia stilettata della Commissione europea. La prima: a metà mattina il portavoce Margaritis Schinas (spalleggiato in serata da Juncker con una lettera) risponde indispettito a Renzi che, proprio a Berlino, si era dichiarato disposto a dare i 281 milioni della quota italiana di aiuti alla Turchia (3 miliardi in totale), ma per farlo stava ancora «aspettando che le istituzioni europee diano alcune risposte sul modo di intendere questo contributo». Ebbene, Schinas prima chiarisce che i contributi nazionali al fondo di 3 miliardi per la Turchia «non vengono tenuti in conto ai fini del Patto di stabilità e crescita». Dunque, non peseranno nel rapporto deficit-Pil. Poi, aggiunge velenoso: «Ma questa cosa era nota da dicembre». Come dire: Renzi non segue il dossier, oppure ha innescato una polemica pretestuosa. 

La seconda stilettata è ancora più pungente. Nel momento in cui Bruxelles fa sapere che gli aiuti alla Turchia (in cambio Ankara si è impegnata a non far superare i propri confini ai profughi siriani e iracheni) non vengono conteggiati del deficit e dunque a tutti gli effetti rientrano nel quadro della “flessibilità” sui conti, il portavoce aggiunge: la Commissione valuterà «in primavera» se accordare all'Italia la flessibilità richiesta per i migranti. 
E' questo passaggio, «questa perversione burocratica» di chi «considera diverse le vite da salvare nell'Egeo da quelle che salviamo noi nel Tirreno», che spinge Renzi a rompere la consegna del silenzio che si era data. E ad annunciare che l'Italia si «terrà a prescindere» dalla valutazione di primavera della Commissione, i 3,2 miliardi (pari allo 0,2% del Pil) chiesti per fronteggiare “l'evento eccezionale” costituito dall'ondata migratoria che da anni si abbatte sulle nostre coste.

Per Renzi è una «questione di buonsenso» e di orgoglio nazionale. Il premier, che con la visita di sabato a Ventotene ha voluto dimostrare la sua fedeltà all'«ideale e al sogno europei», è stufo di essere bersagliato da una Commissione eterodiretta da Berlino. E vuole comandare «al pari di Germania e Francia»: «L'Italia non ha più un debito morale con le istituzioni europee, ora non fa più promesse vane. Abbiamo fatto le riforme, siamo usciti dalla recessione e stiamo tagliando il debito. Dunque, possiamo tornare a fare il nostro mestiere, che è quello di guidare l'Europa e non di andare in qualche palazzo di Bruxelles a prendere ordini».
Ciò detto, Renzi sulla Turchia qualcosa ha dovuto cedere. Ancora a metà giornata diversi diplomatici confermavano l'esistenza del veto italiano a concedere i 3 miliardi di aiuti alla Turchia: «Devono venire dal bilancio comunitario, non da quello dei singoli Paesi. Anche perché fermare i profughi che seguono la rotta Balcanica è interesse della Germania e dei Paesi del Nord». Invece nella sua dichiarazione dalla Nigeria, il premier mette a verbale: «A questo punto daremo il nostro contributo ad Ankara per salvare esseri umani».

Insomma, cade il veto. E cade perché ammorbidire la posizione sulla Turchia serve a Renzi per tentare di disinnescare la tentazione di una “mini-Schengen” (la libertà di circolazione limitata per due anni ai soli Paesi del Nord, Germania inclusa) che lascerebbe fuori Italia, Grecia, Spagna. «Per noi sarebbe un disastro», spiegano a palazzo Chigi, «sbarrare la rotta balcanica chiudendo le frontiere interne dell'Unione, vorrebbe dire scatenare un nuovo assalto di migranti alle nostre coste».
 

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