Libia, piano italiano: militari, medici e guerra al traffico di uomini e armi

Gentiloni
di Marco Ventura
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Giovedì 20 Ottobre 2016, 08:11 - Ultimo aggiornamento: 21 Ottobre, 18:14
I video postati dai miliziani libi su facebook mostrano scene di guerra a Sirte e le macerie dei palazzi che una volta erano il fiore all'occhiello di Gheddafi. A dispetto dei bombardamenti americani dal primo agosto, c'è ancora una sacca di resistenza affiliata all'Isis in 800 metri quadrati in un quartiere vicino al mare. Intanto il premier Al-Sarraj fa fatica a riportare l'ordine dopo l'ultimo tentato golpe, da molti attribuito alla longa manus del generale Haftar, ras di Bengasi. Questo sul terreno.

GLI SCHIERAMENTI SUL TERRENO
Da Washington, la pressione che Obama avrebbe esercitato su Renzi chiedendo un impegno maggiore dell'Italia nella stabilizzazione libica non si è concretizzata in precise richieste alla nostra Difesa. Del resto, gli italiani sono già presenti in molti scenari, dal Libano all'Afghanistan e all'Iraq, e pure Libia, anche se sotto l'ombrello dell'aiuto ai feriti e del supporto alla creazione di un ospedale proprio a Misurata, con l'impiego di 300 nostri militari impiegati nell'operazione Ippocrate: 65 per la componente sanitaria, 135 per il comando, controllo e logistica, e 100 per la protezione della struttura ospedaliera. Impegnata anche l'Aeronautica militare per il trasporto d'urgenza dei feriti, e una unità navale di Mare sicuro.

Per dirla col ministro della Difesa, Roberta Pinotti intervistata dall'Unità, «in realtà noi siamo medics on the ground. Anche in Libia agiamo per favorire il processo di pacificazione» con «azioni in funzione di cosa il legittimo governo di Al-Sarraj chiede». Nel nostro caso ci è stato chiesto di curare i feriti, ma quest'azione umanitaria consente una presenza militare in loco, anche in vista di possibili fasi 2 che però al momento non si vedono. «Con la Ue, inoltre, addestreremo la guardia costiera libica perché sia autonomamente in grado di contrastare il fenomeno delle migrazioni dalla Libia, e agiamo per contrastare il traffico illegale di armi». Nulla di più, per il momento.

SUMMIT AD ALGERI
Lunedì il generale Claudio Graziano, capo di Stato maggiore della Difesa, è volato ad Algeri per la riunione del Forum di dialogo 5+5 che riunisce i Paesi da un lato e dall'altro del Mediterraneo, anche Francia e Italia. Gli algerini insistono sulla necessità di evitare interventi stranieri. Il fallimento della conferenza di Parigi sulla Libia dimostra che gli Stati Uniti e altri Paesi guardano con nervosismo al dinamismo francese a favore di Haftar. E lo stesso premier libico di unità nazional, Al-Sarraj, insiste per l'unificazione delle forze armate libiche che lavorino per il governo e non contro. Il nodo resta Haftar, la divisione tra Cirenaica e Tripolitania, la diversità d'interessi tra Francia e resto del mondo occidentale (inclusa l'Italia).

Difficile che in un contesto così confuso gli italiani, già attivi con uomini e mezzi, possano intensificare il proprio impegno. A maggior ragione considerando la disponibilità della base di Sigonella dalla quale partono raid offensivi contro le postazioni jihadiste, e più in generale l'apporto in Afghanistan e adesso, soprattutto, Iraq, con la protezione dei lavori di manutenzione alla diga di Mosul e l'impiego di elicotteri Mangusta e Nh-90 per il recupero di feriti della coalizione dietro la linea nemica. Anche l'inviato speciale delle Nazioni Unite per la Libia, il tedesco Martin Kobler, ieri in Niger per la riunione ministeriale dei paesi confinanti, ha detto che non c'è altra soluzione che «quella politica», e secondo l'emittente tv araba Al Jazeera avrebbe pure auspicato il coinvolgimento nel processo negoziale del generale Haftar. Stabilizzazione ancora lontana, quindi, e Italia impegnata al limite della propria possibilità e volontà.
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