Il contropiede di palazzo Chigi: se salta la riforma c'è solo il voto

Il contropiede di palazzo Chigi: se salta la riforma c'è solo il voto
di Marco Conti
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Mercoledì 16 Settembre 2015, 06:08 - Ultimo aggiornamento: 08:36
ROMA - La guerra è ormai mediatica. Al punto che allo strappo di una parte della minoranza del Pd, che nel primo pomeriggio lascia il tavolo di trattativa sulle riforme costituzionali con il ministro Boschi, Matteo Renzi risponde qualche ora dopo con una richiesta di voto in aula. Schiaffo a schiaffo. Titolone a titolone, perché la politica ormai è anche, se non soprattutto, questo. Affondi, spesso al limite dell'insulto, e trattative più o meno segrete per raggiungere un'intesa sull'elezione dei senatori su base regionale tramite un listino collegato al candidato-governatore.

BLITZ

Divisa al suo interno e terrorizzata da una possibile fine della legislatura, la minoranza dem sa di non poter spuntare molto di più perché Renzi non ha nessuna intenzione di inserire i meccanismi di elezione nell'articolo 2 e soprattutto non intende far slittare la riforma oltre il 15 ottobre per evitare il sovrapporsi (avvenuto lo scorso anno in occasione del voto sull'Italicum) con la sessione di bilancio.



«Hanno provato a fare ammuina e allora il governo ha chiamato il banco», sostengono i più stretti collaboratori del premier. L'ultimo colpo alle speranze della sinistra del Pd lo ha dato ieri la presidente della commissione Affari costituzionali, Anna Finocchiaro, che di prima mattina si era incontrata a palazzo Chigi con Renzi, il ministro Boschi e il capogruppo Zanda per definire, sentiti anche i capigruppo Schifani e Zeller, la strategia della giornata.



Quando la bersaniana Lo Moro lascia il tavolo di trattativa la Finocchiaro va in Commissione e dichiara inammissibili gli emendamenti all'articolo 2 facendo riferimento al principio del «neminem contradicente» - utilizzato nel '93 dall'allora presidente della Camera Giorgio Napolitano - che permetterebbe nuove votazioni solo - e non è questo il caso - se tutte le forze politiche fossero d'accordo. Le tesi esposte dalla Finocchiaro poco spazio sembrano lasciare al presidente del Senato Pietro Grasso il quale, quando arriverà il testo in aula, dovrà o confermare le considerazioni della presidente Finocchiaro o smentirle rischiando però di aprire un conflitto istituzionale non da poco. Quando la senatrice azzurra Anna Maria Bernini le ha chiesto se aveva «concordato questa interpretazione con il presidente Grasso», la risposta è stata secca: «No, io faccio il presidente della Commissione».



Stretto tra la voglia di non irritare i gruppi di opposizione, grillini in testa, e palazzo Chigi, che avrebbe preferito un atteggiamento «meno pilatesco», a Grasso spetta ora il compito di dichiarare o meno inammissibili gli emendamenti all'articolo 2 che farebbero ripartire la riforma da zero. «Non vogliamo rompere, ma ai temporeggiatori che vorrebbero uccidere silenziosamente la riforma ricordo che la doppia lettura è chiara», ha spiegato Renzi ai capigruppo. Dialogo sì, quindi, ma con un paletto irremovibile: la doppia votazione avvenuta non si discute. Per il premier far saltare la riforma, e con molte probabilità il governo e la legislatura, perché il meccanismo di elezione dei senatori non sta nell'articolo 2 ma nel 35 è un argomento poco spendibile. Ancor più complicato, almeno secondo il premier, sostenere che occorre rimettere mano alla legge elettorale votata qualche mese fa. Sul tema insistono i centristi. «Devi farlo ragionare, io vedo il pullman che si sfracella»: Fabrizio Cicchitto (Ncd) ieri alla Camera ha provato ad usare un ambasciatore d'eccezione, Giorgio Napolitano, per convincere Renzi a frenare la riforma aprendosi ad una trattativa con il Ncd, la minoranza dem e FI.



TERRORE

Argomenti che fanno sorridere Renzi il quale, piuttosto che impelagarsi in una trattativa stile prima Repubblica, preferisce andare anche lui al voto con il Consultellum e, se non dovesse vincere al Senato, fare una trattativa con un pezzo di opposizione solo dopo aver azzerato buona parte degli oppositori interni al Pd. Ma il voto anticipato non piace a Silvio Berlusconi che non potrebbe candidarsi e anche per questo non si cura delle avances di molti dell'Ncd. Spaventa buona parte dei leghisti filo-Bossi ed è un incubo per i tanti fuori usciti del M5S.