Camion sulla folla a Stoccolma, i testimoni: «Un boato, poi il sangue non so perché sono viva»

Camion sulla folla a Stoccolma, i testimoni: «Un boato, poi il sangue non so perché sono viva»
di Federica Macagnone e Giulia Prosperetti
3 Minuti di Lettura
Sabato 8 Aprile 2017, 08:19
«Ho visto a terra il cadavere di una signora che poco prima era in piedi accanto a me. Era coperto con un sacco della spazzatura. È stato tremendo, c'è stato un momento in cui ho avuto paura che non sarei più tornata da mio figlio». La voce di Cecilia R., italiana di 31 anni, consulente aziendale, da poco emigrata in Svezia per lavoro, è ancora tremante. Era appena uscita dall'Ahlens City, il centro commerciale nel cuore di Stoccolma, quando un uomo con un passamontagna alla guida di un camion ha falciato un gruppo di persone. «Aspettavo l'autobus e parlavo al cellulare con mio marito quando sono stata travolta dalla folla. Non ho capito cosa stesse succedendo e ho cominciato a correre anche io. Poi ho sentito un botto fortissimo. Mi sono girata e ho visto le persone a terra, c'era sangue dappertutto. Mi sono rifugiata in un negozio per dieci minuti, poi sono uscita e ho seguito le indicazioni della polizia che ci incitava a scappare mentre sentivo i colpi di arma da fuoco. Ho cercato di allontanarmi, ma mi sono ritrovata vicino all'ingresso del centro commerciale, in un'area che nel frattempo era stata transennata. Ricordo il fumo e la fiancata del camion blu. Da una scalinata ho visto il corpo della signora che era vicino a me poco prima. Mi è andata bene, me la sono cavata con una piccola ferita in testa e con le calze rotte. Non so perché sono viva».

COME NIZZA E BERLINO
Stoccolma come Nizza. Stoccolma come Berlino. L'Europa ripiomba nel terrore a poche settimane dall'attentato sul Westminster Bridge, a Londra. Veronica Durango, 42 anni, ha gli occhi arrossati dal pianto e l'espressione sconvolta: era sulla Drottninggatan. Un balzo le ha salvato la vita: «Ero a un metro dalla traiettoria del camion. Ho fatto un salto e così ho evitato di essere travolta. Se non lo avessi fatto sarei morta». Sulla stessa strada si incrociano le vite di Veronica e Dimitris. Lui vede scaraventare in aria almeno due persone come se fossero birilli, prima di darsi a una fuga disperata: «Stavo camminando verso la strada principale quando un camion è spuntato dal nulla. Non sono riuscito a capire se ci fosse qualcuno alla guida o fosse fuori controllo, ma ho visto che almeno due persone sono state schiacciate. Mi sono messo a correre più forte che potevo». Isham, dipendente della pizzeria Al Forno, all'88 di Drottninggatan, vede sfrecciare il camion a un metro dalla porta del locale: «Abbiamo visto la morte con gli occhi. Il camion viaggiava a una velocità folle e ha investito molte persone. C'era sangue dappertutto». Silvia Battisti, ex Miss Italia, è a Stoccolma e su Facebook scrive: «Sono sconvolta. Alla domanda Cosa pensi di Stoccolma? rispondevo Temperature basse ma mi sento al sicuro. Ma oggi non siamo al sicuro da nessuna parte». Anna e Philip non si conoscono. Si ritrovano a correre gomito a gomito per la salvezza. «Ho visto centinaia di persone fuggire. Mi sono girata e ho cominciato a scappare anche io» racconta la donna.

VETRI ROTTI
Il tragitto tra Kungsgatan e Olof Palme Street è coperto di vetri rotti e segni di pneumatici lasciati dal camion. Andreas si trova all'interno di un negozio di vestiti del centro commerciale al momento dell'attacco. «Era la stessa immagine che avevo visto al mercatino di Natale a Berlino». Nasrin, esule siriana da dieci anni in Svezia, racconta: «Ero terrorizzata, è stato tremendo. Ho visto una donna che aveva perso le gambe. Potevo essere io. Il camion ha travolto tutto lungo il percorso». In strada è in scena l'orrore. Le vittime giacciono a terra in pozze di sangue. I medici accorsi sul luogo dell'attentato provano a rianimarle con un massaggio cardiaco. I corpi esanimi vengono coperti con buste della spazzatura. Stoccolma riscopre la paura dopo gli attentati del 2010. L'Europa archivia un'altra giornata di terrore, addormentandosi con l'ennesima conta dei morti e dei feriti.