Isis, i nodi da chiarire tra Occidente e Oriente

di Aldo Masullo
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Giovedì 4 Agosto 2016, 00:05
Vorrei tentare di delineare uno schema interpretativo, elementare ma organico, del guazzabuglio di tragici fatti e di confusi dibattiti sulla situazione del mondo percosso dal terrorismo “islamico”.

Primo. Se una guerra di religione c’è, è solo quella che si combatte tra confessioni islamiche l’un l’altra ostili, soprattutto tra sunniti e sciiti. In questa guerra i cristiani non c’entrano, se non come vittime e trofei degli scontri tra le due parti islamiche. Le varie organizzazioni di cultura islamica si combattono non tanto direttamente, quanto indirettamente con gli attacchi alle popolazioni dell’occidente cristiano, per conquistarsi ciascuna il maggiore prestigio e il più forte credito, in vista di una finale egemonia sulle altre.

Secondo. Guerra guerreggiata vera e propria peraltro c’è ma, come fin dall’inizio ha insistito a proclamare papa Bergoglio, non tra islamismo e cristianesimo, bensì tra un’aggressiva forza politico-militare islamica, l’Isis, e vari Stati del mondo occidentale, i quali senza dispiegare eserciti sul campo tuttavia con tardivi interventi militari, soprattutto aerei, legittimamente cercano di contenere e far indietreggiare l’espansione territoriale dell’aggressore islamico.

Terzo. Il vasto movimento medio-orientale, l’Isis in prima fila, che nel terrorismo hanno la loro più minacciosa strategia di attacco all’Occidente, si definiscono islamici, ben più ai fini di effetti propagandistici e di proselitismo aggressivo che non per un’intrinseca motivazione religiosa.
 
Quarto. L’Isis è il primo passo del vasto ma frammentario movimento islamico per costituire un nocciolo statuale, indispensabile a reggere il temerario progetto di fondo che in nome dell’Islam si va facendo strada nell’attuale situazione del mondo. Come è chiaramente visibile solo a guardare gli atlanti storici, l’ambizione di islamizzare almeno il Mediterraneo e i popoli - europei, africani e asiatici - che vi s’incontrano diviene con intermittenza azione di conquista militare, a partire dalla prima espansione araba tra VII e VIII secolo fino all’impero ottomano dilagante tra XV e XVII.

Quinto. Ora il risorgente sogno islamico s’incrocia con la sempre più completa globalizzazione del mondo. Finora l’unica globalizzazione, da cui restarono esclusi solo i vari assembramenti barbarici del nord-est e i grandi paesi dell’estremo Oriente, India e Cina, fu opera dei Romani. Globale fu infatti l’unificazione romana del mondo, iniziata con la guerra, ma consolidata con la pace, dal comune diritto al sistema delle comunicazioni, alla circolazione delle merci e degli uomini, al rispetto delle diversità culturali. Si configurò così per la prima volta l’idea di una civiltà universale.

Sesto. Oggi, alla fine del secondo millennio dopo Cristo, una nuova globalizzazione si delinea, e il termine stesso entra in circolazione nei discorsi della vita quotidiana. Ne è matrice l’economia capitalistica della modernità, e ne costituiscono la trama per le illimitate interconnessioni le nuovissime tecnologie della comunicazione immateriale e istantanea. Nella seconda metà del secolo XX la soverchiante potenza economica e tecnologica degli Usa e i loro decisivi interventi militari quasi in ogni scacchiere geopolitico li hanno fatti apparire come gl’inevitabili gestori unici della globalizzazione. La globalizzazione è sembrata dunque l’«impero» americano.

Settimo. Si è compiuto intanto il risveglio delle élites islamiche, suscitato dall’improvvisa enorme ricchezza delle fonti energetiche con il conseguente ingresso nel circuito del capitalismo internazionale e la disponibilità delle più aggiornate tecnologie. Le potenze occidentali hanno compiuto l’errore capitale di voler condizionare politicamente e piegare ai propri interessi le nuove plutocrazie energetiche dell’Oriente. E’ venuto così paradossalmente crescendo in questa parte del mondo un moto di rivolta contro la globalizzazione, percepita come livellatrice di culture, e contro l’Occidente identificato con la gestione americana di essa. Si è in parallelo sviluppata l’enorme, temeraria ambizione di essere esso, l’Islam, il titolare della globalizzazione, ovviamente depurata e corretta secondo i suoi principî. Di tutto ciò segna il tragicamente spettacolare ingresso nella storia in corso la strage dell’11 settembre 2001, l’enorme attacco simbolico al cuore dell’America, umiliata al cospetto del mondo intero. Infine, passando di mano in mano e sempre più rinforzandosi grazie sia ai nuovi errori delle potenze occidentali sia al sostanzioso sostegno degli ambigui plutocrati arabi del petrolio, l’inaudito disegno ha preso forma concreta nell’organizzazione quasi-statuale del califfato eretto dalla lucida follia di Al Bagdadi.

Ottavo. L’Isis, proprio per la sua forma fortemente strutturata di quasi-Stato e per la determinazione che cerca di esibire anche con la ferocia delle sue stragi, costituisce nel mondo islamico in fermento il centro d’attrazione di tutte le insofferenze e gli odi accesi o pronti ad accendersi contro la globalizzazione a egemonia americana, semplicisticamente identificata con la cultura occidentale e tanto più emotivamente con il cristianesimo. L’Isis diventa così una massa di energia eversiva, la quale produce tutt’intorno, perfino se restasse inattiva, un campo di eccitazione di forze capaci, pur senza alcun diretto comando, di muoversi deflagrando disastrosamente. Si attiva così, tanto più terrificante per la sua imprevedibile casualità, il terrorismo minuto delle iniziative solitarie.
Nono. Dalla Libia giunge la notizia che ancora una volta, dinanzi all’ambiguità dei partecipanti arabi all’alleanza internazionale anti-Isis e alla pericolosa miscela di avventurismo e di irresolutezza dei partecipanti europei, le forze armate americane sono «costrette» a intervenire. Ciò minaccia di rafforzare tra le masse di cultura islamica la percezione del nuovo mondo globalizzato (delle cui conquiste tecnologiche peraltro esse stesse si servono) come sempre diabolica incombenza dell’«impero» americano. Si produce così un insolubile circolo vizioso, che va tutto a vantaggio dell’Isis.

Decimo. Un grande scrittore europeo, Ernst Jünger, pubblicò nel 1953 un saggio, a cui nel 1955 fece eco una nota di Carl Schmitt. Il titolo del saggio è Il nodo di Gordio, e vi è simboleggiato il conflitto che lungo la storia del mondo ha inceppato il rapporto tra Oriente e Occidente, tra sacralità del sapere e del potere nell’uno e libertà razionale e laicità del diritto nell’altro. Il nodo di Gordio, secondo il mito, teneva unita la correggia di un carro sacro e solo chi lo avesse sciolto avrebbe avuto mano libera nella conquista dell’Asia. Alessandro il Macedone, non essendo riuscito a scioglierlo, lo avrebbe tagliato con un colpo di spada. In effetti, secondo una testimonianza storica, che Schmitt valorizza, Alessandro avrebbe scoperto che non il nodo visibile univa la correggia, ma un gancio nascosto, ed egli perciò non ebbe che da staccarne la correggia. Oggi la felice relazione tra Occidente e Oriente è ancora una volta impedita da un nodo gordiano che non con la spada ma solo con la sapiente fermezza va sciolto. Tentare di reciderlo sarebbe un disastro. Nella situazione presente la salvezza di tutti, Oriente e Occidente, sta in un’opera paziente di responsabilizzazione di tutti i paesi coinvolti, nel persuaderli che o tutti ci si salva o tutti ci si perde. Dove intanto sono le Nazioni Unite, non di semplice nome ma finalmente di fatto ? L’America, l’Europa, i potentati medio-orientali debbono abbandonare avarizie e furbizie, doppi giochi e viltà per unirsi schiettamente in una rigorosa azione d’isolamento economico e militare, politico e culturale, che lasci deperire e dissolversi per mancanza di alimento il califfato e la sua irradiante carica di follia stragista.

E’ questa la straordinaria prova in cui Oriente e Occidente potrebbero vedere finalmente sciolto il nodo fatale che lungo la storia ne ha troppo spesso impedito il rapporto pacifico, e trovare nella globalizzazione né «americana» né «islamica» la comune libertà e i modi di una civiltà nuova. Altrimenti il pericolo è per tutti mortale.

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