Isis come la mafia: una tassa in cambio di protezione. Così il Califfato gestisce gli affari

Isis come la mafia: una tassa in cambio di protezione. Così il Califfato gestisce gli affari
di Federica Macagnone
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Martedì 9 Giugno 2015, 15:34 - Ultimo aggiornamento: 10 Giugno, 14:52
Tasse in cambio di protezione. Punizioni brutali per chi si rifiuta di pagare. Lo Stato Islamico ha istituito un regime di imposte sui cittadini benestanti per garantire loro di poter operare sul territorio del Califfato: una sorta di mafia che, grazie ai soldi di siriani ricchi e imprenditori, sta accumulando una ricchezza significativa capace di accrescere di giorno in giorno la potenza dello Stato del terrore.



Sulla base dell'interpretazione radicale della legge Sharia'h, il gruppo jihadista ha imposto una forma di tassazione rifacendosi al terzo pilastro dell'Islam: la zakat è il debito verso Dio che il musulmano deve saldare per ciò che Egli gli ha dato. In questo modo ci si purifica, si rende legale tutto quello che si possiede e si mette in evidenza come tutto venga da Allah, donatore e beneficiario di tutte le cose.



La “donazione obbligatoria” ha una percentuale fissa (di solito 2,5%) calcolata in base ai propri averi. Un sistema fiscale applicato a uomini d'affari locali attraverso la minaccia del carcere e di pesanti multe per chi si rifiuta di obbedire. Per coloro che mentono sotto giuramento ad Allah c'è la morte.



Ammar, che non ha voluto rendere noto il suo vero nome al Telegraph, è un uomo d'affari siriano che ha raccontato la sua storia. Il suo socio in affari a Raqqa è stato arrestato dall'Isis per essersi rifiutato di pagare il balzello e non è stato liberato fino a quando l'azienda non ha pagato 100mila dollari al Califfato.



«Mi hanno detto che, visto che ho tanti soldi, devo pagare la mia parte - ha detto Ammar – Hanno analizzato il mio reddito e hanno preso una percentuale. Ho scelto di continuare a lavorare nel territorio dello Stato Islamico dopo essere stato derubato di 150mila dollari di scorte di magazzino da una fazione armata rivale». In cambio di quella che è essenzialmente un'imposta sul reddito, ad Ammar è stata garantita protezione da furto e corruzione e la possibilità di vendere i prodotti della sua azienda che opera nel settore delle macchine ma anche dell'alimentare. «Quando compro i polli dagli agricoltori nelle aree rurali di Raqqa – continua Ammar - la prima cosa che devo fare è andare all'ufficio per pagare la zakat. Poi mi viene rilasciato un buono che mi permette di vendere i prodotti in città». I soldi della zakat finiscono per rimpinguare le tasche dei combattenti e per l'acquisto di armi, mentre la popolazione vive in miseria.



Il modello è stato applicato a tutti i territori dell'Isis in Siria e, in una situazione di totale assenza di controlli, alcune imprese hanno scelto di spostare i loro affari in aree controllate dallo Stato Islamico. «In una situazione di anarchia e di povertà generale fare affari con l'Isis è l'unico modo per tenere in piedi le nostre aziende – ha concluso Ammar – Disprezzo i jihadisti, ma è a loro che vendo le mie automobili».