Europa sotto scacco/ La miscela esplosiva di Brexit e migranti

di Alessandro Campi
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Mercoledì 1 Giugno 2016, 00:03
Due sondaggi in queste ore si aggirano per l’Europa, minacciosi come spettri. Il primo, realizzato dalla Opinion Research Business (Orb) per conto del Daily Telegraph, dice che nel Regno Unito i fautori del “Remain” e quelli del “Leave” praticamente si equivalgono: 51% contro 46%, con un 3% di indecisi. Nelle settimane scorse sembrava che i sostenitori della permanenza nella Ue della Gran Bretagna avessero guadagnato parecchio terreno, sino a distanziare gli euroscettici di quasi dieci punti.

Cameron aveva abilmente drammatizzato lo scontro, evocando il rischio di una guerra civile europea e quello della disoccupazione di massa nel caso di una fuoriuscita del suo Paese dall’Europa. Molti suoi connazionali si erano impauriti dinnanzi a simili scenari. Ma i recenti dati sugli ingressi degli stranieri nel Regno Unito (in continua crescita e arrivati, nel 2015, alla cifra record di 330.000 unità) e le immagini dei disperati – poco importa se in fuga dalle guerre o dalla fame – che cercano di attraversare il Mediterraneo o che premono alla frontiere orientali del continente hanno risvegliato il timore per nuove e incontrollate ondate immigratorie.
 
Il secondo, realizzato dalla Insa Meinungstrend per conto della Bild, mostra invece come in Germania, per la prima volta negli ultimi otto anni, i partiti che compongono la Große Koalition non arrivano al 50% dei consensi.

Di recente, nella vicina Austria, popolari e socialdemocratici – anche lì da anni saldamente al governo in condominio – sono letteralmente crollati, tanto che alle elezioni presidenziali i loro candidati sono rimasti esclusi dal ballottaggio. In Germania la situazione, dal punto di vista dei partiti storici, non è ancora così grave. Ma il declino della SPD, in particolare, sembra comunque inarrestabile (in tre anni ha dimezzato i propri voti: dal 40 al 20%), così come è continua la crescita dei populisti di AfD (attestati tra il 15 e il 20%). Anche in questo caso, secondo i sondaggisti appare dirimente la questione dell’immigrazione, sempre più percepita dall’opinione pubblica tedesca come un fenomeno che nessuno, nemmeno “Mutti” Merkel, sembra in grado di gestire, indirizzare e controllare.

Dinnanzi a simili scenari, che politicamente spingono al pessimismo più cupo, viene facile obiettare che gli umori popolari sono per definizione reversibili e instabili e che basta davvero poco, come l’esperienza insegna, a spostarne il corso e l’intensità. Ma in questo caso si ha l’impressione di trovarsi dinnanzi ad un orientamento di lungo corso che i sondaggi richiamati non fanno che confermare a modo loro. L’impressione, per dirla chiaramente, è che l’ostilità verso l’Europa e la sua burocrazia, la sfiducia nei confronti delle classi dirigenti nazionali, non denotino una rabbia occasionale, ma un sentimento che si è sedimentato a livello collettivo nel corso degli anni e che solo adesso - con l’innesco di alcune gravi emergenze: dalla crisi economica all’immigrazione - è esploso con tutta la sua forza dirompente.

Un sentimento dietro il quale si nasconde un problema serio e reale: il livello percepito come sempre meno affidabile, per competenza e capacità, delle persone che, a Bruxelles come nei singoli Stati nazionali, hanno nelle loro mani il nostro destino. L’antipolitica così spesso biasimata dai commentatori ufficiali non è altro, a ben vedere, che il prodotto delle cattive prove che i governi e i partiti di potere hanno dato di sé quando, come è accaduto nell’ultimo decennio, si sono trovati a dover affrontare, senza idee o soluzioni adeguate, emergenze non previste o sconosciute: dalla crisi economica (con la conseguente crisi dello Stato del benessere) alle minacce alla sicurezza rappresentate dal terrorismo internazionale. Dietro il tanto vituperato populismo non ci sono soltanto la forza del risentimento e l’odio sociale. C’è una sfiducia ben motivata nei confronti del potere e di chi lo detiene.
Un discorso analogo può farsi per l’immigrazione. Quella nei confronti delle alterazioni sociali, demografiche e culturali prodotte dai movimenti di milioni di uomini da un continente all’altro non è una paura irrazionale e primitiva radicatasi nei cittadini per colpa della cattiva predicazione di capi politici irresponsabili e fanatici. È invece una preoccupazione empiricamente ben fondata, che la politica ufficiale – chiusa nella sua retorica e nei suoi discorsi edificanti – ha semplicemente deciso di rimuovere dalla propria sfera di interessi.

Limitarsi a richiamare il dovere cristiano dell’accoglienza nei confronti del prossimo sofferente. Inneggiare ai vantaggi del multiculturalismo senza mostrarne i limiti e i pericoli (in primis la tribalizzazione delle società). Sostenere che l’immigrazione è qualcosa di irreversibile e dunque di sostanzialmente ingovernabile (essendo un fenomeno antico come l’uomo). Giustificare l’immigrazione con l’argomento che abbiamo bisogno di forza lavoro a poco prezzo, di qualcuno che faccia figli al posto nostro e di chi ci assicuri i contributi previdenziali per la nostra vecchiaia. Fare del “migrante”, elevato a soggetto morale e a figura rivoluzionaria, l’antesignano di una futura umanità senza più barriere e confini. Tutto ciò, che è quel che si sente dire di solito dai politici nei loro discorsi ufficiali, basta a spiegare per quali ragioni stia crescendo sempre di più il divario tra governanti e governati: con questi ultimi che, giudicando i primi degli incapaci non all’altezza del loro compito, tendono a radicalizzarsi sul piano politico o, per quel è peggio, a ritirarsi dalla scena pubblica. Da qui, come si vede in tutta Europa ormai da alcuni anni, la crescita del voto ai cosiddetti populisti e dell’astensionismo elettorale.

La soluzione? Se non si vuole che il dramma sociale della crisi economica, quello umanitario che inevitabilmente si accompagna all’immigrazione e quello politico-istituzionale determinato dalla crescita dei partiti anti-establishment si sommino tra di loro con effetti imprevedibili, occorre che i capi di Stato e di governo europei si diano una rapida mossa e convergano verso soluzioni unitarie e coraggiose sulle grandi questioni che oggi preoccupano milioni di loro cittadini. Per fare ciò dovrebbero semplicemente convincersi, prima che sia troppo tardi, che ciò che oggi minaccia le democrazie non è la demagogia dei populisti che le contestano, ma il senso di impotenza che esse trasmettono a chi dovrebbe sostenerle.
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