Afghanistan, i talebani e gli americani allo stesso tavolo. Tamburi di pace?

Afghanistan, i talebani e gli americani allo stesso tavolo. Tamburi di pace?
di Anna Guaita
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Lunedì 30 Luglio 2018, 21:15 - Ultimo aggiornamento: 2 Agosto, 13:36
NEW YORK – Cinque anni dopo il tentativo fallito di Barack Obama di raggiungere in Afghanistan la pace con la diplomazia, l’Amministrazione Trump ha deciso di riprovarci. Incontri ai massimi livelli fra americani e talebani si sono tenuti nel Qatar e negli Emirati Arabi Uniti. I colloqui si svolgono segretamente, guidati per gli americani da Alice Wells, vicesegretario di Stato per l’Asia Centrale, una diplomatica di carriera che ha coperto posizioni di rilievo sia nell’Amministrazione di George Bush che in quella di Obama, e ora in quella di Trump.

Il compito della Wells è difficilissimo, se si tiene presente come fallì un simile tentativo nel 2013. I talebani vorrebbero infatti negoziare solo con gli americani, ma gli americani non possono prendere impegni per conto del governo afghano, il quale a sua volta non accetta negoziati se non viene interpellato direttamente.

E’ dunque un gioco delicatissimo, anzi una «vera scommessa», come la definiscono privatamente osservatori nello stesso Dipartimento di Stato. Tuttavia finora ci sono stati segnali positivi. Dopo l’incontro nel Qatar, il portavoce della delegazione talebana ha espresso soddisfazione: «Nel corso degli anni abbiamo avuto tanti incontri con gli americani, ma non li abbiamo mai trovati così seri a proposito della pace. Ci hanno dato luce verde al cento per cento per l’apertura di colloqui di pace, e abbiamo deciso di incontrarci di nuovo presto».

I toni differenti rispetto al 2013 si devono soprattutto al nuovo presidente afghano, Ashraf Ghani, che ha collaborato e non ha posto nessun ostacolo sulla strada di questi incontri preliminari, a differenza del suo predecessore Hamid Karzai, che era contrario e diffidente nei confronti sia degli americani che dei talebani. L’altro elemento che finora aveva giocato un ruolo di ostacolo, il Pakistan, questa volta non ha preso posizione. Non ha espresso parere positivo, ma non ha neanche messo i bastoni fra le ruote. Gli esperti tuttavia ammoniscono che la neutralità di Islamabad non è sufficiente, ci vuole un suo impegno dichiarato a proteggere la pace. Dopotutto i talebani sono una costola pakistana, e nel Pakistan hanno trovato rifugio e protezione dopo l’attacco Usa del 2001.

L’occupazione dell’Afghanistan è avvenuta 17 anni fa, dopo gli attentati dell’Undici Settembre, il cui mandante, Osama Bin Laden, si nascondeva in Afghanistan, protetto dal governo integralista islamico dei talebani. Dopo la sconfitta dei talebani, e la nascita di un governo eletto dal popolo, le cose non sono andate bene come l’Amministrazione Bush sperava. Assorbiti dalla nuova guerra contro l’Iraq, cominciata nel 2003, gli americani di fatto si disinteressarono dell’Afghanistan. E il Paese non godette di quella rinascita economica che gli americani avevano promesso, mentre la resistenza talebana si organizzava e riconquistava territori.

Solo l’anno scorso, Trump ha dovuto accettare di mandare rinforzi militari, davanti al radicarsi del dominio talebano in varie province rurali. Ma il presidente vuole ritirare le truppe prima possibile. Da qui, sospettano gli analisti, la fretta di questi colloqui, e la spinta verso veri e propri negoziati di pace. Ma la fretta può comportare un rischio. Funzionari sia del governo afghano che del Dipartimento di Stato hanno detto privatamente alla Nbc di temere che Trump, in uno dei suoi slanci impulsivi, si stanchi di aspettare e richiami le truppe, prima che si sia arrivati a un accordo solido e resistente.

                                                                                                                                                                                                 
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