La Venere censurata/ Se i simboli si rivoltano contro chi li oscura

di Giuliano da Empoli
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- Ultimo aggiornamento: 28 Gennaio, 10:37
Ci voleva un certo talento per offuscare la visita di Stato del presidente iraniano Rohani. Per far passare in secondo piano l'importanza geopolitica di un canale che si riapre dopo anni di chiusura e il peso economico di miliardi di euro di investimenti. E anche per oscurare le proteste, tutt’altro che ingiustificate, di chi condanna gli abusi dei diritti umani e le minacce per la sicurezza di Israele che il nuovo corso iraniano non ha cancellato. Eppure è successo. 
È bastata qualche lastra di compensato, pudicamente collocata lungo il percorso della delegazione iraniana all’interno dei Musei Capitolini, per far scoppiare una polemica in mondovisione sull’ipocrisia della politica estera italiana, l'abdicazione dei nostri valori culturali, il declino dell’Occidente e chi più ne ha più ne metta. Il bello è che nessuno ha notato una gaffe di segno inverso compiuta nella stessa occasione. 

Dopo aver attraversato le sale emendate delle loro nudità offensive, infatti, il capo del governo iraniano è stato sistemato per la conferenza stampa sotto una gigantesca statua equestre di Marco Aurelio. Cioè dell’imperatore che sconfisse i Parti dell’antica Persia. In pratica, dopo aver risparmiato ai nostri ospiti lo spettacolo di qualche inoffensiva nudità, li abbiamo fatti accomodare sotto colui che sbaragliò i loro antenati. Non male davvero, come primo scambio di cortesie. Questa seconda gaffe, della quale nessuno parla, dovrebbe aiutarci a collocare la vicenda nella sua giusta dimensione. Il problema non è il servilismo nei confronti di ospiti potenti e suscettibili, ma la noncuranza nei confronti di antenati ancor più potenti e suscettibili di loro. Abbiamo il privilegio di disporre di luoghi e di capolavori unici al mondo, ma li abitiamo con indifferenza burocratica, senza renderci conto dell’immenso potere che sono tuttora in grado di esercitare. 

Chi scrive non potrebbe essere più distante dalla posizione di quelle vestali del patrimonio che pensano che la nostra storia sia solo un museo da mettere sotto chiave. Al contrario, la cultura e il patrimonio vanno utilizzati anche come strumenti di diplomazia culturale, per promuovere il prestigio e l'interesse nazionale dell’Italia, come sempre è accaduto nella storia. La politica internazionale, oggi, è fatta di cultura e di simboli almeno quanto di eserciti e di cannoni. Lo dimostra l'accanimento con il quale i nostri nemici colpiscono i teatri, i musei e i siti archeologici. 
In questa dimensione, l’Italia ha evidentemente molte carte da giocare. Purché ricominci a guardare il suo patrimonio con la passione - e perfino un po' del timore reverenziale - che merita. Gli antichi romani pensavano che gli oggetti di arredo, non solo i più preziosi, fossero abitati da spiritelli domestici, capaci di manifestarsi e di esercitare un'influenza sui vivi. Noi moderni abbiamo invece tendenza a guardare anche i capolavori più inestimabili con lo sguardo clinico di chi osserva un corpo inanimato. Per questo a volte pensiamo di poterli trattare come semplici strumenti, senza preoccuparci dei loro sentimenti. Ma è un grave errore. Le testimonianze del passato sono presenze animate, assai più potenti di un capo di Stato e ancor più suscettibili riguardo alle loro prerogative. Se attribuiamo loro il rango che meritano, possono offrirci un grandissimo aiuto, ma anche riservarci tremendi sgambetti, se hanno la sensazione di una mancanza di rispetto. Negli ultimi giorni, le statue dei musei capitolini si sono semplicemente incaricate di ricordarcelo.
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