LA VIOLENZA
Non siamo mai state così bene, davvero. Sì, lo so: il femminicidio. Mio padre non avrebbe mai picchiato mia madre, perché per la borghesia del Novecento picchiare le mogli era un'attività socialmente sminuente: una cosa da bruto proletariato, da Nino Manfredi in Brutti, sporchi e cattivi, non da professionista stimato. A lui come a tutta la società cui apparteneva sembrava però perfettamente normale, accettabile e persino educativo picchiare i figli, cosa che oggi susciterebbe sdegno in qualunque contesto e conversazione.
Nel frattempo è avvenuto uno slittamento culturale per cui coi bambini è impensabile anche solo alzare la voce. I bambini sono diventati intoccabili, ma prendersela con i più deboli non è un istinto estirpabile dalla natura umana.
E quella cosa cui abbiamo dato l'orrendo nome di “femminicidio” quello è: non il prodotto di una società maschilista, ma la conseguenza della maggior debolezza fisica delle donne. Non si danno casi di culturiste mandate al pronto soccorso da un marito geloso.
I DESIDERI
Non siamo mai state così bene. Abbiamo un sacco di cose che diamo per scontate: diritto di voto, congedi di maternità, assorbenti interni, possibilità di scegliere di non sposarci e non imparare a cucinare, e a disposizione praticamente tutte le possibilità professionali tranne quella di diventare Papa. Tutte cose che non avevamo pochi decenni fa, e che coprono una parte così ampia dei desideri che avremmo espresso se da piccole ci avessero chiesto che diritti volevamo avere da grandi, che non può che scattare il cavillo.
È un meccanismo umano: più marginali sono le cose di cui ti puoi lamentare, più sei determinata a trovarle delle mancanze gravissime. E quindi obiettiamo etichettando qualunque obiezione venga dall'altra parte come “maschilismo”, e qualunque disaccordo tra donne come “Eva contro Eva” (che però non era la storia di un battibecco a un pigiama party: era un grandioso film sull'ambizione professionale, da cui anche i maschi avrebbero molto da imparare).
Se il giorno del giuramento del governo i commenti su Twitter e Facebook erano perlopiù sui vestiti delle ministre, non è maschilismo se erano commenti di uomini, né tradimento della causa femminista se a criticare l'abbigliamento erano donne.
L’ABBIGLIAMENTO
Primo: cos'altro si sarebbe dovuto commentare? L'unica notizia erano i vestiti (brutti: ma non eravamo la patria degli stilisti? Com'è possibile che Michelle Obama si vesta meglio delle nostre ministre?).
Secondo: non è sminuente parlare di vestiti. La moda è un'industria che muove miliardi, e la più seria delle frivolezze. Si parla di quello delle donne perché l'abbigliamento maschile è noiosissimo, e se ne parla come per gli uomini si parla dei giocattoli loro, che siano squadre di calcio o altro. Non ho mai visto un uomo di potere sentirsi depotenziato da un commento sul suo essere tifoso.
Ma forse per gli uomini valgono altre regole. Delle quali chiederei cortesemente l'applicazione anche al dibattito sulle donne. Non mi pare che nessuno abbia argomentato che Matteo Renzi non avrebbe dovuto prendersi il posto di lavoro di Enrico Letta per solidarietà di genere. Cominciamo da lì, invece che dalla lobby dei venditori di mimose.
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