Carlo Verdone ad Amatrice: «Ho riparato da solo la mia casa. Via le macerie, serve speranza»

Carlo Verdone ad Amatrice (Foto di Enrico Meloccaro)
di Gloria Satta
3 Minuti di Lettura
Venerdì 24 Agosto 2018, 02:37 - Ultimo aggiornamento: 25 Agosto, 08:54
Un ospite d’eccezione fra strette di mano, aneddoti, allegria, applausi e l’immancabile amatriciana. Carlo Verdone, in visita ad Amatrice a due anni dal sisma, è stato protagonista di un autentico bagno di folla e di una giornata densa di emozioni. «La gente della cittadina distrutta, sia pure provata dal dolore e dalle difficoltà, è fortissima e motivata. Ce la farà», dice l’attore e regista che ha accettato «con entusiasmo» l’invito del Comune e presentato il suo ultimo film Benedetta follia sotto la tensostruttura chiamata «Nuovo Cinema Paradiso», regalando al pubblico battute, racconti, risate.

Cosa l’ha colpita di più?
«Le macerie che, a forma di montagnole, popolano ancora la città. Mi si sono parate davanti agli occhi dopo che, durante il viaggio, avevo visto altre montagne verdissime e maestose al centro di un panorama mozzafiato. Quel contrasto mi è rimasto dentro».

E che riflessione le suggerisce?
«Mi auguro che tutte le macerie vengano rimosse al più presto, anche per aiutare la gente a dimenticare. E spero che la burocrazia, in Italia sempre pronta a rallentare le iniziative, non crei troppi intoppi».

Conosceva Amatrice?
«Incredibilmente, nonostante possieda una casa nel Reatino, non c’ero mai stato. Sono innamorato del Lazio e cerco sempre di scoprire nuovi scorci e nuovi luoghi, ma la zona di Amatrice, Antrodoco, Cittareale, Posta mi mancava. Sono felicissimo di aver colmato la lacuna».
La nuova Amatrice, secondo lei, somiglierà alla città distrutta dal terremoto?
«No, per forza di cose sarà completamente diversa. Le chiese del 1200 e le case storiche rimarranno solo nelle fotografie e nelle cartoline. Ma l’importante è che la città venga ricostruita con grazia e con il gusto estetico che in Italia, purtroppo, non sempre è presente».
Ricorda dov’era il 24 agosto 2016, quando la potentissima scossa rase al suolo la città?
«Ero a Milano per lavoro e solo la mattina dopo ho saputo della catastrofe. Che ha riguardato anche me: è infatti crollato il campanile della chiesetta che si trova nella mia proprietà».
E lei cosa ha fatto?
«Sono tornato e, indossando il casco della moto, mi sono fatto strada tra i calcinacci per appurare l’entità del danno che ho poi riparato con le mie sole forze. La casa, per fortuna, è rimasta in piedi perché l’avevo ristrutturata con criteri antisismici dopo il terremoto dell’Aquila».
Cosa le hanno detto gli abitanti di Amatrice?
«Mi hanno ringraziato per aver accettato il loro invito. Ma sono io che devo ringraziare loro per avermi accolto con tanto calore. Rappresentano quel pubblico che, dopo 40 anni, continua a darmi fiducia. Dalla gente di Amatrice, tosta e positiva, ho ricevuto una grande lezione di vita. E ho deciso di tornare al più presto».
Il cinema può aiutare chi, come i terremotati, ha perso tutto?
«Certo, perché è l’ultima forma rimasta di aggregazione. In sala le persone s’incontrano, si parlano, condividono le emozioni. E si sentono meno sole».
Gloria Satta
© RIPRODUZIONE RISERVATA 
© RIPRODUZIONE RISERVATA