Il 31 marzo l'Italia dirà addio allo stato di emergenza. Salvo "sorprese" infatti, da parte del governo non ci sarà un'ulteriore proroga e l'intera pratica della gestione della pandemia tornerà entro i canali ordinari. Un esempio su tutti: da quel punto in poi cambierà le modalità con cui si è potuto ricorrere allo smart working in questi due anni. Sarà quindi archiviata la possibilità - di cui tutte le aziende hanno usufruito - di ricorrere al lavoro da casa senza un accordo individuale tra imprese e lavoratori.
Stato di emergenza e smart working, le novità
Sia nel pubblico sia nel privato sarà infatti necessario stabilire nuove regole che consentano al lavoro agile, che così tanto è stato sfruttato durante la fase di emergenza, di entrare nella quotidianità dei lavoratori italiani.
L'auspicio delle parti sociali (che vorrebbero anche degli incentivi per la transizione) è quello di favorire l'innesto di una nuova formula ibrida che non preveda solo il lavoro in presenza e neppure solo quello da remoto.
Un'integrazione che il ministro della Pubblica amministrazione Renato Brunetta - al netto delle polemiche - ha in realtà già avviato grazie alle nuove linee guida pubblicate poche settimane fa.
AZIENDE PRIVATE
Per quanto riguarda il variegato mondo delle imprese private invece, la situazione è un po' diversa.
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Tutti temi di contrattazione tra le parti sociali che oggi, stando agli ultimi dati raccolti dalla Cgil a maggio 2021, sono stati affrontati in circa 200 accordi aziendali, vale a dire il 29% di quelli censiti (erano il 6% prima della pandemia). Per cui, in linea del tutto teorica, almeno un italiano su 3 già sarebbe pronto a non rientrare in ufficio. Da questi però sono esclusi i contratti nazionali di categoria. Quelli che hanno normato il lavoro agile infatti, sempre secondo il sindacato, sarebbero solo tredici.
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