Mes, perché i governi precedenti a quello Meloni non lo hanno ratificato? Battaglia in Aula

«Ma perché non lo avete ratificato se era così fondamentale farlo in tempi rapidi?» chiede al Partito Democratico la premier. Breve storia di uno psicodramma iniziato nel 2011

Mes, perché i governi precedenti a quello Meloni non lo hanno ratificato? Battaglia in Aula
di Francesco Malfetano
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Martedì 12 Dicembre 2023, 11:05

 «Ma perché non lo avete ratificato se era così fondamentale farlo in tempi rapidi?». Così ieri la presidente del Consiglio Giorgia Meloni si è rivolta alle opposizioni che sono tornate ad alzare i toni chiedendo l'approvazione del Mes. Un richiamo alle responsabilità dei precedenti governi di cui proprio il Partito Democratico - principale sostenitore del Meccanismo europeo di stabilità a cui ha parlato ieri la premier - era tra gli azionisti di peso.

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Differente il discorso per quanto riguarda il Movimento 5 stelle di Giuseppe Conte che già in passato ha assunto posizioni altalenanti su uno strumento che, va riconosciuto, ha cambiato più volte forma.

Come sempre però in ping pong politici di questo tipo, la verità sta nel mezzo. Andiamo però con ordine perché tutti, anche la Lega che ne fa una nemesi, hanno qualche responsabilità.

Il caso Mes

Se l’atto costitutivo e l'avvio del percorso di ratifica da parte dei parlamenti nazionali del Mes risalgono entrambi al 2012, quando a Palazzi Chigi siedeva Mario Monti con una maggioranza alla quale non appartenevano né la Lega né la fondatrice di Fratelli d’Italia Meloni, va ricordato che l'origine politica del Trattato affonda le sue radici quando al governo c'era il centrodestra guidato da Silvio Berlusconi (con Meloni ministro). Il primo atto politico e formale di nascita del Mes risale infatti alla riunione dei ministri finanziari dell’Unione europea dell’11 luglio 2011, con l’Italia rappresentata da Giulio Tremonti. Una paternità contro cui, a quel tempo, non si riscontrano prese di posizione né dell'attuale premier né del suo vice leghista, già dirigente del Carroccio. 

Il percorso

Da lì in poi però le cose si complicano e, mentre il Trattato fa il suo lento percorso europeo cambiando da Fondo Salva stati, a trattato sanitario a versione "ultra-light" fino a "Fondo Salva banche", a palazzo Chigi si alternano le maggioranze giallo-verdi e giallo-rossa. Se per la prima la ratifica del Mes non è assolutamente un argomento di discussione, per la seconda invece lo è eccome. Al punto che quando Conte prima dell'Eurogruppo del maggio 2020 inizia a pensare di cedere al pressing di Pd e Iv e approvare l'accordo, il M5S si spacca tra puristi ed europeisti. «È uno strumento inadeguato» tuonerà Luigi Di Maio, allora leader politico dei grillini, opponendosi a Nicola Zingaretti che invece premeva in senso opposto. Una dicotomia sanguinosa da cui l'Italia uscì solo perché l'Europa stava già elaborando un altro strumento di sostegno all'economia che è il Recovery. Fatto sta che in quel frangente il Partito democratico non riuscì a strapparne l'approvazione (con Lega ed FdI, allora all'opposizione, nettamente contrari). 

Passata altra acqua sotto i ponti di Palazzo Chigi, a capo del governo si ritrova Mario Draghi. La maggioranza in quel caso è mista (ci sono dentro Lega, Fi, M5s, Pd e Iv) e l'ex numero della Bce, quando l'Europa torna a premere affinché si arrivi alla ratifica, per bocca del ministro dell'Economia Daniele Franco si dice pronto alla ratifica. Dichiarazione di intenti che scatena nuovamente gli oppositori di uno strumento, Lega e FdI (allora in minoranza), che porta lo stigma del doloroso salvataggio della Grecia nel 2012. Anche allora, avvalorando le parole meloniane di ieri,  il Partito Democratico che oggi continua a chiedere l'approvazione alla maggioranza non riuscì a imporsi e a ottenere la ratifica. 

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