Trattativa sul deficit, si cerca la sponda di von der Leyen: l’ipotesi di un ennesimo rinvio. Si teme una recessione

A settembre ripartono i negoziati: nel nuovo Patto Ue tetto alla spesa

Trattativa sul deficit, si cerca la sponda di von der Leyen: l’ipotesi di un ennesimo rinvio. Si teme una recessione
di Gabriele Rosana
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Lunedì 21 Agosto 2023, 00:10 - Ultimo aggiornamento: 16:25

La coperta è corta e per sperare di allungarla, nell’autunno caldo che si apre per il futuro dei conti pubblici italiani, a Roma serve il benestare dell’Ue. Non solo di Bruxelles, beninteso, ma pure degli altri Paesi Ue, in quella che - con lo spettro di una recessione all’orizzonte per l’Eurozona - è la più attesa partita della “rentrée” Ue dopo la pausa estiva: l’intesa sulla riforma del Patto di stabilità e crescita, la disciplina di bilancio che è stata sospesa all’inizio della pandemia di Covid-19 e tale è rimasta con l’inizio dell’invasione russa dell’Ucraina e la crisi energetica che vi ha fatto seguito. 

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Il tempo a disposizione, però, è quasi scaduto, e la strategia che il governo Meloni seguirà in casa, con la predisposizione di una manovra che potrebbe avvenire in deficit (quello previsto per il 2024 è già il 3,7%, al di sopra del tetto Ue del 3%), si intreccia inevitabilmente con il domino europeo alla ricerca di nuovi margini d’azione.

Dal 1° gennaio prossimo, infatti, la clausola di salvaguardia generale del Patto sarà disattivata e torneranno ad applicarsi le regole Ue poste a tutela di finanze pubbliche in salute. Se a diventare operativi saranno i paletti vecchi, rigidi e sostanzialmente inattuati della vecchia disciplina, oppure quelli nuovi al centro del negoziato tra i Ventisette dopo che la Commissione ha presentato la bozza di revisione a fine aprile, dipenderà dall’evoluzione delle trattative tra gli Stati membri. Il calendario serrato proposto dalla Spagna, che ha la presidenza di turno del Consiglio dell’Ue fino a dicembre, prevede un confronto sulla riforma della governance economica durante l’Ecofin informale di Santiago di Compostela a metà settembre, con l’obiettivo di tirare le somme alla successiva riunione formale di ottobre in Lussemburgo. 

E in quegli stessi giorni, come ogni anno, il dialogo tra Bruxelles e le capitali Ue si farà ancora più serrato perché entro il 15 ottobre tutti i governi dovranno trasmettere alla Commissione europea il documento programmatico di bilancio per il 2024. Insomma, si tenta il tutto per tutto per trovare la quadra e appianare le resistenze, in particolare della Germania e di una pattuglia di frugali che avevano fatto quadrato con un documento congiunto circolato a fine giugno. Certo, un’Eurozona che cresce debolmente (+0,3% nel secondo trimestre dell’anno, secondo Eurostat) e che si avvicina al baratro della recessione (a cominciare proprio da Germania e Paesi Bassi, stando alle previsioni del Fondo monetario internazionale) non potrà che influenzare il dibattito. 

LE ALLEANZE

E a scompaginare le tradizionali alleanze viste finora nei campi di falchi e colombe: gli olandesi, ad esempio, un tempo fautori dell’austerità, da mesi si mostrano più dialoganti del passato; ma sulla loro posizione peserà il responso delle urne anticipate di novembre. La proposta messa sul tavolo dall’esecutivo Ue definisce i contorni di un Patto più flessibile, con piani nazionali di rientro del debito ricalcati sul modello del Pnrr e un orizzonte temporale più ampio (tra quattro e sette anni) per indorare la pillola, fino a sanzioni certe ma più contenute per chi non dovesse mantenere fede agli impegni presi con Bruxelles. Il testo della Commissione, tuttavia, non prevede lo scomputo dal calcolo del debito pubblico degli investimenti chiave, caro in particolare a Paesi altamente indebitati come Italia e Francia. Bruxelles ha infatti optato per spalmare su più anni i tagli per quegli Stati che proporranno piani di lunga durata e incentrati su obiettivi condivisi. Eppure, nel suo parere pubblicato nei giorni scorsi in Gazzetta Ufficiale, la Banca centrale europea ha raccomandato «ulteriori salvaguardie per garantire un aumento negli investimenti per priorità centrali, come la transizione verde e digitale», riaccendendo un filone di dibattito mai davvero sopito nei palazzi Ue. L’Eurotower è tornata a ribadire la necessità di raggiungere un accordo «il prima possibile» e, in ogni caso, entro il 2023. Il rischio di andare per le lunghe, classico dei negoziati brussellesi, c’è, tanto che qualcuno evoca l’eventualità, pur ancora remota, di un’ennesima proroga in extremis della sospensione del vecchio Patto, in mancanza di accordo. Ma la Commissione è determinata ad andare avanti, come ha dimostrato già con le pagelle di primavera alle finanze pubbliche, quando, per la prima volta - e pur non essendoci ancora il nuovo Patto -, ha utilizzato l’indicatore della spesa primaria netta su cui fa perno tutto l’impianto della nuova governance economica (e che non tiene conto delle entrate una tantum, della spesa per interessi o per i sussidi di disoccupazione). La posta in palio, però, è anche politica. A Bruxelles non c’è nessuna voglia di isolare l’Italia. Non solo perché è la terza economia del blocco, ma pure per il calcolo elettorale in vista del rinnovo dei vertici politici dell’Unione: pallottoliere alla mano, una riconferma di Ursula von der Leyen alla presidenza della Commissione, tra poco meno di un anno, avrà bisogno se non della sponsorizzazione, quantomeno della non belligeranza di Roma.

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