Autonomia, crescono i dubbi dentro il governo

Autonomia, crescono i dubbi dentro il governo
di Mario Ajello Andrea Bassi
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Domenica 24 Marzo 2019, 10:04 - Ultimo aggiornamento: 15:11
Nell'ultimo vertice al quartier generale della Lega in via Bellerio, a Milano, dieci giorni fa, a dispetto delle dichiarazioni ufficiali in cui si ostentava fiducia si respirava in realtà un'aria molto pesante riguardo al progetto autonomista. Matteo Salvini per l'ennesima volta ha tentato di tranquillizzare i due governatori del lombardo-veneto, Attilio Fontana e Luca Zaia, ma quelli ormai apparivano e appaiono piuttosto sfiduciati. Della serie: i 5Stelle ci stanno mettendo i bastoni tra le ruote e sta andando tutto a finire male. E in effetti le cose stanno un po' così. Troppa fretta, troppe complicazioni, troppe difficoltà da parte dei ministri grillini, troppe poche sponde istituzionali, il Sud in rivolta, la contraddizione (negata però da Salvini) tra Lega nazionale e primato del Nord e via così: autonomismo adieu? No, ma insomma.

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Le responsabilità. Giancarlo Giorgetti, che a questa riforma tiene da sempre, lui che ha condiviso con Bossi e poi con Maroni la governance del Carroccio, appare ormai molto prudente su questa materia. Conoscendo gli ostacoli - nella Lega le chiamano «le mine» - che si stanno affollando sul tragitto. Non è mai stato così esplicito come ieri il sottosegretario a Palazzo Chigi: «Il progetto delle autonomie regionali? Diciamo che va avanti ma si è un po' rallentato». Giorgetti ne ha parlato a margine di un incontro sull'autonomia, organizzato a Milano dall'intergruppo parlamentare per la Sussidiarietà. Ma non ha lanciato accuse, non ha incolpato i 5Stelle o Conte per questo rallentamento ormai evidente a tutti, e a cui i due governatori del Nord non vorrebbero rassegnarsi ma la situazione è quella che è. «Nessuna colpa, è che le cose vanno fatte bene. Speriamo che si facciano bene. Siamo disposti ad aspettare un po' per farle bene»: questa la linea del sottosegretario. I Cinquestelle, dal canto loro, tengono bassi i toni. Sanno che per la Lega è un tasto delicato. Ma fuor di taccuino parlano di una riforma «su un binario morto». Dal ministro per il Sud, Barbara Lezzi, a quello della Salute, Giulia Grillo, la contrarietà è netta. Da qualche tempo, nonostante formalmente la delega sia stata attribuita al leghista Massimo Garavaglia, anche il sottosegretario Laura Castelli ha iniziato a partecipare alle riunioni al Tesoro sulla parte finanziaria delle intese. L'accordo, sul punto, è lontanissimo, soprattutto per le pesanti censure che sono arrivate dalle strutture tecniche del ministero, dall'ufficio legislativo alla Ragioneria. Le intese, per i tecnici, rischiano non solo di spostare risorse verso il Nord, ma anche di creare un buco nei conti. Le strade, per evitarlo, sono sostanzialmente due: tagliare la spesa pubblica o aumentare le tasse. Impensabile a pochi mesi dalla presentazione di una legge finanziaria che, tra le altre cose, dovrà disinnescare oltre 23 miliardi di euro di clausole Iva. L'autonomia delle ricche Regioni del Nord, insomma, rischierebbe di essere la goccia che fa traboccare il vaso dei conti pubblici.

Le simulazioni. Non solo. La retorica autonomista sta perdendo colpi. Solo un paio di giorni fa la Sose, la società pubblica che calcola i fabbisogni standard, ha presentato in Parlamento una serie di simulazioni sull'attuazione del federalismo fiscale e, sorpresa, si è scoperto che il Sud non è sprecone come si vuol far credere. Anzi, il costo dei servizi è molto simile a quello del Nord. Quello che manca sono le risorse, di cui invece dispongono le Regioni che chiedono l'autonomia. Che difficilmente a questo punto, potrà partire se prima non si definiscono, come chiede la Costituzione, i livelli minimi che devono avere i servizi in tutto il territorio nazionale. E, soprattutto, come funzioneranno i meccanismi di solidarietà per quelle Regioni che da sole non ce la fanno a finanziarli.
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