Banana Yoshimoto: «Quando non trovo ispirazione per scrivere, mi rivedo tutti i film di Dario Argento»

In libreria il nuovo libro "Che significa diventare adulti?"

Banana Yoshimoto: «Quando non trovo ispirazione per scrivere, mi rivedo tutti i film di Dario Argento»
di Riccardo De Palo
4 Minuti di Lettura
Giovedì 18 Gennaio 2024, 15:50

«La mia speranza è che questo libro accompagni le notti insonni di chi per età è ancora bambino e di chi, pur essendo già adulto, continua a prendersi cura del bambino che porta dentro di sé», scrive Banana Yoshimoto, nel suo saggio breve appena uscito per Feltrinelli, Che significa diventare adulti?, un vero e proprio «testo-amuleto» con un solo, reiterato messaggio: «Non è necessario diventare adulti, l'importante è che rimaniate fedeli a voi stessi». Cosa vuol dire? L'autrice giapponese, diventata fenomeno di culto sin dal primo romanzo bestseller, Kitchen (1991), precisa così il suo pensiero: «Spero che, a modo mio, io possa avere sempre la curiosità di una bambina e di continuare a crescere, a poco a poco, fino ai miei ultimi momenti. Questo, per me, significa diventare adulti». Ma non senza un innato senso di gratitudine e di altruismo. Nel libro la scrittrice, nata a Tokyo 59 anni fa, avverte: «Questo libro potrebbe esservi di conforto un giorno o l'altro, un giorno magari anche molto lontano».

Sua sorella, Haruno Yoiko, è una famosa autrice di manga e anime e anche lei si ispira spesso a questa arte, è vero?
«Per me il cinema è fondamentale, perché mi permette di rompere gli stereotipi che mi sono costruita da sola. Tuttora, quando sento il cuore inaridirsi, rivedo in ordine tutti i film di Dario Argento per ritrovare l'ispirazione. Senza le sue opere, nelle mie ci sarebbero state solo persone buone e per questo lo ringrazio profondamente».


Quale pensa sia il segreto del suo successo, da "Kitchen" in poi?
«Credo di avere avuto successo perché in Kitchen c'è una visione necessaria per la nostra epoca: la libertà di non essere legati a un genere, a un lavoro o all'età. Oltre a ciò, la traduzione di Giorgio Amitrano è davvero fantastica e dopo essere stata in grado di capire un po' l'italiano ne ho apprezzato ancora di più il valore».


Torniamo al suo ultimo libro. Lei sostiene che è fondamentale tornare all'infanzia per ritrovare il vero sé. Cosa vuole dire?
«Mentre scrivevo, mi sono resa conto che tutto ciò che ha permesso di sviluppare la mia sensibilità è accaduto nei miei primi sette anni di vita. Bisogna tornare al rapporto che si instaura tra l'ambiente e la natura durante l'infanzia, per comprendere ciò che si è diventati, e ritrovare delle sensazioni di cui fare tesoro. Potrebbe essere questo a salvarci, da adulti».


Lei racconta, appunto, di essere diventata adulta quando è riuscita a esprimere il senso di gratitudine. Ci racconta come è successo?
«Provando ad esprimere gratitudine, sono riuscita a mettere da parte per la prima volta il mio ego.

Ed è stato per me possibile capire in che modo le persone si relazionano con me, che cosa vogliono fare per me. Mi sono accorta che l'anziana caposala che si prendeva cura di me mentre ero in ospedale, si preoccupava della mia salute e si svegliava prestissimo al mattino per accompagnarmi a fare dei controlli. Successivamente, pur non essendo nelle migliori condizioni fisiche, decisi di prendere delle buste che stava trasportando e di portarle io al suo posto. Quella gentilezza da parte mia fu per me un'enorme occasione di riflessione».


Lei scrive: "crescere significa stringere a noi il bambino che ci portiamo dentro e vivere una vita da adulti". Cosa vuol dire?
«Come dicevo prima, è durante l'infanzia che sviluppiamo dei criteri per ragionare sui problemi della vita. Da bambina, però, non avrei mai pensato che mi sarei trovata ad affrontare circostanze così pesanti. Per questo, "stringere a noi il bambino che portiamo dentro" significa pensare sempre a come ci saremmo sentiti, provando quell'emozione da bambini».


Un altro tema del suo libro è la scuola: quanto sono importanti gli anni di formazione?
«Forse avrei dovuto studiare di più. All'epoca pensavo che lo studio fosse un mio nemico e, per questo non mi impegnavo affatto. Non ho quindi basi di matematica o fisica e questo mi mette tuttora in difficoltà».


E cosa rappresenta per lei l'amicizia?
«Gli amici sono quelle persone che ti aiutano nei momenti di difficoltà, senza esitare nemmeno per un attimo».


Lei affronta anche un tema molto difficile, la morte. Qual è il suo rapporto con la morte? Lei racconta un sogno struggente, in cui rivede sua madre.
«I viventi spesso si stupiscono delle proprie azioni, delle proprie parole. Perdere quel senso di stupore, significa morire. Ma nei sogni, a volte, sono i defunti a fare qualcosa che supera le nostre aspettative. In questi casi si ha quasi la sensazione di averli incontrati davvero. Sono occasioni preziose nella vita, che amo raccontare nei miei romanzi».

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