Allarme Libia, blitz di Italia e Onu per fermare la guerra

Allarme Libia, blitz di Italia e Onu per fermare la guerra
3 Minuti di Lettura
Domenica 12 Ottobre 2014, 06:24
IL VERTICE
Partecipazione a sorpresa del segretario generale delle Nazioni Unite Ban Ki-moon all'apertura della seconda sessione di dialogo politico in Libia. Ban Ki-moon è sbarcato a Tripoli assieme al ministro degli Esteri italiano Federica Mogherini. Una presenza, quella di Ban Ki-moon che sta a indicare quanto sia ormai grave la situazione in Libia sconvolta da una guerra civile. Ma la partecipazione del segretario generale dell'Onu è legata anche al grido di allarme lanciato sei giorni fa dall'inviato dell'Onu per la Libia, lo spagnolo Bernardino Leon, sull'ormai certa presenza dell'Isis in Libia. In quell'occasione, Leon, sottolineando la necessità di pacificare la Libia, aveva citato due volte l'Italia: «Questo è un Paese importante per l'Europa, un Paese vitale per l'Italia» e l'Italia (uno dei pochi paesi occidentali che continua a tenere aperta l'ambasciata a Tripoli) sta offrendo «un forte sostegno» al dialogo «con una posizione equilibrata». Ma la missione per riportare la Libia sui binari di una convivenza pacifica e di un governo inclusivo e davvero governante è proibitiva. Una Libia «sull'orlo della catastrofe» l'ha dipinta ieri il ministro Mogherini.
CAOS POLITICO
La mappa politica della Libia è, a tre anni dal rovesciamento del colonnello Gheddafi, un rompicapo. Un Parlamento, eletto a giugno, rifugiato per motivi di sicurezza a Tobruk, e boicottato dai parlamentari di Misurata, città a maggioranza filo-islamica le cui milizie controllano la capitale, che a Tripoli hanno rimesso in piedi la disciolta Assemblea parlamentare. A Bengasi i fondamentalisti di Ansar al Sharia hanno proclamato un califfato ed è loro intenzione aprire in Libia un “franchising” dello Stato Islamico; ma devono vedersela con i soldati del generale Haftar che ha dichiarato guerra agli islamici. Nelle zone desertiche del Sud, gruppi qaedisti e tribali si combattono per controllare i traffici di armi, droga e uomini. Poi le centinaia di milizie, tutte pesantemente armate, prive di qualsiasi struttura gerarchica che sgomitano fra di loro nelle maggiori città. Infine la fascia costiera dei disperati in cerca di attraversare il Mediterraneo .
«Le milizie si devono ritirare dalle città libiche, dagli aeroporti e dalle sedi governative per consentire agli organi legittimi di lavorare», ha detto ieri Ban Ki-moon. «Chiediamo a tutti i gruppi di fermare i combattimenti: gli attacchi a Bengasi del generale Khalifa Haftar devono cessare, così come le azioni di Ansar al Sharia. Abbiamo già assistito a troppe uccisioni, a troppe fughe di persone» Difficilmente, però, l'eco delle sue parole arriverà a destinazione. «La Libia - ha aggiunto Ban - ha bisogno di un Parlamento unico, che rappresenti tutti i libici, e di un governo forte».
Ad ascoltare le parole di Ban Ki-moon i deputati dei due “parlamenti” che già si erano incontrati il 29 settembre a Gadames nella prima sessione di dialogo. A parole tutti sollecitano la necessità di costruire un governo unico largamente inclusivo ma le strade e le piazze della Libia raccontano tutta un'altra storia. L'Italia, però legata a filo triplo con la Libia (per la storia, per il gas e per i profughi) non vuole arretrare di un millimetro per evitare la catastrofe: «Siamo pienamente impegnati a stare al vostro fianco, al fianco del popolo libico, per salvare la Libia da un destino che non merita» è stato l'ultimo messaggio del ministro Mogherini che oggi sarà al Cairo per la Conferenza sulla ricostruzione di Gaza.
Roberto Romagnoli
© RIPRODUZIONE RISERVATA