Ilya aveva sei anni e viveva nel Donbass, epicentro della guerra in Ucraina. Da undici mesi la sua casa era una cantina, dove si è rifugiata con i genitori per sfuggire alle bombe. Ilya aveva perso tutto: la scuola, gli amici, la libertà. La paura era la sua ombra e alla fine le ha spezzato il cuore. Non è un missile ma il terrore la causa della sua morte, comunicata due giorni fa dall’ambasciata ucraina presso la Santa Sede.
I TRAUMI
Accanto al corpo della piccola c’era un pupazzo di peluche rosa, il suo conforto nelle notti buie.
Khrystyna, 8 anni, abita in una città dell’oblast di Kiev e sua madre Oksana racconta che i capelli della figlia hanno iniziato a diventare grigi per i traumi subiti dai bombardamenti. Tra il 24 febbraio e il 10 agosto, sono i dati di Save the children, almeno 942 bambini sono stati uccisi o feriti, una media di cinque al giorno, con 356 bimbi che hanno perso la vita e 586 feriti. Il 16% delle piccole vittime aveva meno di 5 anni. A novembre il numero di morti e feriti è salito a 1.170, ma secondo l’Onu è sottostimato.
Dana, 29 anni, e sua figlia Antonina, 2 anni, sono fuggite da Kharkiv a marzo, al culmine degli attacchi alla città, prima anche loro hanno cercato riparo in cantina. «Antonina sentiva le esplosioni e aveva paura, non riusciva a dormire. Quando la stessa cosa accade qui si spaventa e chiede: “È scoppiato qualcosa, mamma. Cosa è esploso?’”», è il racconto di Dana raccolto dall’organizzazione che tutela i diritti dell’infanzia e dell’adolescenza. «A una bambina di due anni non posso spiegare che c’è una guerra e che i suoi coetanei stanno morendo», riflette Dana. Così mente, la rassicura dicendo che i boati che sente sono tuoni. Questa tattica però non funziona con i nipoti più grandi, consapevoli di ciò che sta accadendo. «Fanno molte domande.
Il bambino di nove anni mi ha chiesto: “Morirò anch’io?”. I suoi genitori fanno fatica a trovare le parole giuste per rispondergli». I piccoli cercano dai grandi sollievo e speranza per il futuro: «La mia nipotina di cinque anni domanda: “Quando sarò grande, dovrò ancora correre subito verso l’uscita quando c’è una sirena?”». Natalia, psicologa di Emergency, fa parte del gruppo che accoglie i profughi a Balti, in Moldavia. Spiega che sono sempre più i genitori che chiedono aiuto per i loro figli. Hanno vissuto e interiorizzato l’esperienza della guerra e l’incertezza della fuga, tanti sono assaliti da ansia, panico, stress perdurante. «Si sentono in costante pericolo dopo il distacco dalla famiglia e dal gruppo sociale, senza più punti di riferimento», rileva Natalia.
SOTTO LE SEDIE
Quando arrivano a Balti, i primi giorni stanno seduti su una sedia, senza muoversi né parlare, come facevano nei bunker dove si riparavano. Il loro gioco preferito è nascondersi sotto i tavoli. «La stessa tecnologia che permette di tenersi in contatto con i propri cari è anche un’importante fonte di agitazione: tutti, anche gli adolescenti, hanno installato sugli smartphone un’applicazione che segnala le sirene antiaeree nelle città ucraine. Questo li fa rimanere in apprensione costante, perché non hanno cognizione della portata dell’allarme».
I russi hanno condotto oltre 700 attacchi alle infrastrutture sanitarie, curare i bambini che restano, spesso è impossibile. Come Davyd, 4 anni, malato di tumore, scoperto poco prima dello scoppio della guerra. Le bombe hanno interrotto la sua chemioterapia, i genitori lo hanno portato in Italia ma era troppo tardi. È morto tre giorni fa all’ospedale di Belluno.
È bambina di 6 anni si chiama Elya.Negli ultimi 11 mesi Elya ha vissuto a Avdiivka🇺🇦a 5 km dalla linea del fronte. Si è nascosta per la maggior parte del tempo nel seminterrato con la sua famiglia per paura dei bombardamenti 🇷🇺. Lei è morta la notte scorsa per un attacco di cuore pic.twitter.com/D3SzWh1nbt
— UKR Emb to HOLY SEE and SMOM (@UKRinVAT) January 12, 2023
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