Provate a ricordare il viaggio in aereo più lungo che avete fatto, magari di dieci ore. Moltiplicate il tempo trascorso per dieci e immaginate di trovarvi in trappola, senza potervi muovere, al buio, al freddo, schiacciati da travi e pietre, con pochi centimetri di libertà. Non avete da mangiare, da bere, non sapete quanto tempo è trascorso e se qualcuno verrà mai a salvarvi. Sepolti vivi. Eppure, c'è chi in Turchia, ma anche in Siria, dopo 100 ore, anche dopo 108, ha resistito. Ed è stato salvato dai soccorritori che continuano a scavare, senza arrendersi. Certo, sembra impossibile che dopo il terribile terremoto di lunedì, al venerdì ci siano ancora persone vive sotto le macerie.
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E invece sì: c'è la signora anziana estratta ieri a Mersin, il fazzoletto ancora in testa, che apre le braccia come un calciatore che ha segnato un gol, e ripete ai soccorritori «figli miei, figli miei»; c'è Selma Gunes, 62 anni, salvata dai vigili del fuoco locali ma anche da una squadra giunta in aiuto dalla Corea del Sud: ha trascorso 108 ore sotto le macerie di un palazzo ad Antakya, chiede: «Mio marito è ancora vivo? Senza di lui, non ha senso vivere»; Aysegul Turkmen è una donna di 46 anni, il palazzo di sette piani in cui abitava a Kahramanmaras l'ha sepolta: era ferita, ma è stata recuperata e portata via in barella a 111 ore dalla prima scossa, tra la commozione di tutti.
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Già si contano, secondo quanto spiegato dal Ministero della Famiglia, «162 minori non accompagnati che sono stati rimossi dalle macerie e continuano ad essere curati in ospedale». L'Ambasciata della Repubblica di Turchia sta raccogliendo donazioni per il disastro sismico (Iban: IT87N0200805001000106665316, beneficiario: Ambasciata di Turchia, Causale: "Donazione per il terremoto in Turchia").
Ma come è possibile che, nonostante le temperature rigidissime, vi siano ancora, per fortuna, così tante persone vive sotto le macerie? Quanto a lungo si può resistere? Il dottor Federico Federighi, direttore Unità maxi emergenze del Lazio, rianimatore, è intervenuto su vari terremoti, come quelli all'Aquila e ad Haiti. Dice: «Non è così sorprendente che dopo cento ore vi siano dei sopravvissuti. Molto dipende da una serie di fattori. Il primo: le condizioni fisiche della persona al momento del disastro. Il secondo: se il crollo non provoca ferite, ma va a creare una sorta di camera con dello spazio di sicurezza, un guscio, questo può proteggere chi è sotto dal freddo, lo abbiamo visto ad esempio a Rigopiano. Sicuramente si può resistere a lungo senza mangiare, ma non senza bere. Ma non possiamo escludere che nelle prossime 48 ore possano essere trovati e recuperati altri sopravvissuti».
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