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«Ho fatto condannare il mio stupratore»: la battaglia (lunga nove anni) di Giada

Mind The Gap > News
Domenica 22 Novembre 2020 di Vanna Ugolini
«Ho fatto condannare il mio stupratore»: la battaglia (lunga nove anni) di Giada

«Non volevo vendetta, volevo giustizia. L'ho avuta e adesso ho anche un'altra vita. Anzi, ho una vita in cui posso finalmente cominciare a guardare avanti». Giada ora ha 30 anni (il nome è di fantasia), si è tagliata i capelli e ne ha cambiato il colore. Parla e sorride. Nell'inverno 2011 stava passando una serata in discoteca a Perugia e aveva accettato il passaggio a casa da un ragazzo che gli era stato presentato poco prima da un amico. Quel viaggio finirà nel buio di un campo, la faccia sbattuta contro il cofano dell'auto fino a romperle naso e mandibola e poi la violenza.

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IL RACCONTO

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«Ho pensato che sarei morta lì. Poi è squillato il cellulare. Mi stavano cercando. Ho pensato che volevo vivere. Mi sono fatta riaccompagnare in discoteca, giurando che non l'avrei mai denunciato». Invece Giada l'ha denunciato. Subito, mentre era ancora nel letto d'ospedale. «L'ho fatto per me e l'ho voluto fare per tutte quelle ragazze che non hanno il coraggio di farlo». Ma quante croci ha dovuto portare in nove anni di percorsi processuali che hanno messo più volte lei, la vittima, sul banco degli imputati. «La prossima cosa che voglio fare, appena mi sentirò meglio, è mettere in atto una serie di iniziative perché nessun'altra debba patire quanto ho patito io in tribunale». Il suo stupratore è stato arrestato praticamente in flagranza di reato, mentre stava mettendo in lavatrice i panni sporchi di sangue e di fango. Una vicenda processuale che sarebbe dovuta protrarsi al massimo per un paio d'anni, ne è durata nove. «Lui si è avvalso di tutti gli appigli che la giustizia gli offriva». Ha cambiato avvocato tre volte «e ogni volta sono stata risentita. Ogni volta ho dovuto rivivere quello che avevo subito e, soprattutto, rispondere a domande offensive. Ogni volta gli avvocati mi chiedevano che biancheria intima indossavo, se avevo provato piacere, se avevo la minigonna. Com'era difficile non piangere, non alzarmi da quella sedia e scappare».


GLI SCIOPERI
Poi è cambiato il collegio giudicante. E anche in quel caso è stato necessario ricominciare. Poi gli scioperi degli avvocati, la corsa contro il tempo perché il processo non finisse in prescrizione. Infine, quando ormai si era in dirittura d'arrivo, in Cassazione, ed in ogni grado era stata confermata la condanna a 7 anni, lo stop dovuto alla pandemia. «Mille volte ho avuto la tentazione di mollare». Non era facile vivere. «Avevo paura, per due anni sono stata chiusa in casa. Erano gli anni in cui mi sarei dovuta iscrivere all'università. Poi ho rifiutato tutti i lavori in cui dovevo stare a contatto con il pubblico: una volta avevo trovato lavoro in un bar, è entrato uno che somigliava a lui e sono caduta a terra. La mia vita per anni è stata a libertà limitata». L'ultimo brutto colpo c'è stato quando l'imputato ha nominato un legale di fama nazionale. «Volevo incatenarmi davanti alla Corte d'Appello, in piazza, davanti al Papa. Ero preoccupatissima, anche perché non avevo più soldi da spendere». Ma non è servito. Il suo stupratore, ora, è in carcere. «Voglio guardare avanti. Voglio dire alle donne che subiscono violenza di denunciare. E non voglio che nessuna soffra mai più come me dentro un'aula di giustizia».

Ultimo aggiornamento: 19:52 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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