Quello che preoccupa studiosi, sociologi, statistici, giuristi è proprio l’invisibilità delle donne nell’accesso e nella permanenza nel mercato del lavoro, così come la violenza anche economica e e la loro assenza nella rappresentanza istituzionale.
Gli indicatori sulla parità di genere, dopo una flessione osservata nel 2016, nel 2017 aveva registrato un lieve miglioramento, dovuto all’aumento della partecipazione delle donne negli organi decisionali, nei consigli d'amministrazione e nei consigli regionali, ma poi questo andamento è risultato insufficiente, tanto che l'Italia resta indietro nel rapporto tra i tassi di occupazione delle donne di 25-49 anni con figli in età prescolare e delle donne senza figli.
Scarsi livelli occupazionali, in particolare al Sud, rigidità nell’organizzazione del lavoro e bassa qualità, discontinuità lavorativa, barriere vecchie e nuove in campo imprenditoriale e welfare inadeguato sono i principali fattori della discriminazione delle donne. Le strategie messe in campo sinora si sono rilevate insufficienti.
Se si esclude un timido accenno alla violenza, sia domestica che sul lavoro, da contrastare attraverso un inasprimento delle pene, nel “contratto di Governo” secondo il Cnel mancano i riferimenti su come s’intenda rilanciare l’occupazione femminile, promuovere le pari opportunità.
Nella spirale della violenza, esiste anche la violenza economica che è l’innesco più subdolo per isolare una donna facendole perdere l’indipendenza, La violenza economica peggiora le condizioni di una donna: ed è proprio la mancanza di un reddito autonomo ad azzerare la libertà di scelta e di autodeterminazione, oltre che l’autostima.
All’interno della coppia la violenza economica è quella forma di violenza e controllo che va dal controllo delle spese, all’esclusione della compagna dalla gestione del patrimonio, dalla richiesta di lasciare il lavoro, al dilapidare il capitale di famiglia o all’indebitarsi all’insaputa della donna. In base ai dati Istat dell’indagine sulla violenza nel 2014 sono l’1,2% (erano lo 0,9% nel 2006) le donne che hanno un partner che impedisce di gestire il proprio denaro e quello della famiglia, di conoscere l’ammontare del reddito familiare 0,9%, di utilizzare il bancomat 0,8%.
L’asimmetria di potere tra uomini e donne è alla base anche di un altro problema: quello delle molestie e dei ricatti sessuali sul posto di lavoro, fenomeno che ha riguardato almeno 1 milione e 404 mila donne nell’arco della loro vita, ma il dato Istat è probabilmente sottostimato.
Il 17% delle donne che lavorano non ha un conto corrente, quindi non gestisce il guadagno del suo lavoro; in generale il 23% delle donne italiane non ha un conto corrente, in alcune regioni la percentuale arriva al 40% e solo il 21% ne ha uno personale.
L’85% delle famiglie monoreddito in condizioni di povertà assoluta ha come riferimento una donna.
Le dimissioni volontarie dal lavoro nell’80% dei casi per le donne dipendono da mancanza di servizi per conciliare casa e lavoro; per gli uomini il motivo è un cambio di lavoro.
Il costo complessivo annuo della violenza sulle donne è stato nel 2017 17 miliardi di euro, 6 milioni le donne coinvolte in violenza fisica ed abuso economico (assenteismo, perdita ore lavorate, danni economici alla famiglia ed ai figli, spese mediche e di socio assistenza).
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