TREIA (Macerata) - Profughi e "lusso" a villa Bartoloni, i migranti: «Siamo sopravvissuti alle bombe in Libia, non volevamo morire, qui stiamo benissimo».
Negli occhi dei 19 stranieri che alloggiano nel cuore di Treia, a pochi passi dall'ex fornace, c'è tutta la speranza di chi ha avuto una seconda occasione. Sbarcati in Sicilia per sfuggire alla guerra libica, la gran parte di loro è nelle Marche da sette mesi: da quattro settimane vivono nella struttura Bartoloni e hanno già sollevato qualche polemica tra i residenti.
SPESA E TABLET
Sono richiedenti asilo, dai 21 ai 38 anni: 13 provengono dal Bangladesh, 3 dall'Afghanistan e 3 dal Pakistan.
L’INGEGNERE
In un passato recente c'è chi ha lavorato in un fast food, chi ha imparato a fare il pane, chi ha fatto il tappezziere e chi è diventato perfino ingegnere informatico. Come Sahib Zada, 38 anni: «Ho vissuto cinque anni in Germania - svela in un inglese perfetto - non mi hanno dato il permesso di soggiorno e non sono stati molto carini con me, c'è una sorta di razzismo, forse. Qui invece "people are friendly", le persone sono disponibili». Il clima è disteso, il muro dei pregiudizi è semplice da abbattere. Tradizioni e abitudini diverse si amalgamano alla perfezione, nel segno del rispetto reciproco: «Mangiamo separatamente - scherza Sahib - perché in Afghanistan il pesce si prepara con spezie troppo piccanti, mentre pakistani e bengalesi amano pollo, riso e verdure. La colazione è "selfmade", prepariamo le piadine da soli. Conosciamo la cultura italiana: adoriamo la pasta, il pane e i vostri bellissimi scorci di paesaggio». Rasel ha messo da parte i soldi per comprare la bicicletta: «Me l'ha venduta un amico pakistano - dice - la presto anche ai miei amici, così possiamo muoverci più velocemente». E continua con una battuta: «Alcuni di noi prima di abitare a Treia sono stati per qualche tempo a Rocchetta, avevamo un'insegnante di italiano. L'inglese è internazionale, ma a voi italiani non piace molto. Presto prenderemo altre lezioni di lingua, così potremo fare nuove amicizie». «Vogliamo integrarci, forse resteremo qui un altro anno, siamo in attesa dei documenti. Ci piacerebbe tornare a lavorare. Se siamo brave persone? Lo sa solo Dio», chiudono i migranti con un sorriso che vale più di mille parole.