Clara Sánchez racconta la malattia di sua madre: «Quel giorno buio che rivelò chi ero davvero»

Ecco il romanzo appena pubblicato da Garzanti

Clara Sánchez racconta la malattia di sua madre: «Quel giorno buio che rivelò chi ero davvero»
di Riccardo De Palo
5 Minuti di Lettura
Venerdì 17 Novembre 2023, 15:37

«È sempre meglio provare qualcosa che non provare niente», scrive Clara Sánchez nel suo romanzo appena pubblicato da Garzanti, "Il primo respiro dopo la pioggia", cercando di capire da dove nasca l’ossessione degli esseri umani per l’amore, anche contro il proprio interesse. «È un libro che segna un prima e un dopo nel mio modo di scrivere - ci dice al telefono - e che mi ha aiutato anche ad accettare la vita». La storia è infatti la più autobiografica tra quelle narrate dall’autrice spagnola, fenomeno da due milioni e mezzo di copie soltanto in Italia, bestseller con "Il profumo delle foglie di limone", che ha vinto i tre principali premi letterari spagnoli: Alfaguara, Nadal e Planeta. Dietro lo schermo della finzione, e le vicende della protagonista Lucia, c’è la stessa autrice: «Il nucleo della storia è ciò che è accaduto davvero a mia madre. Una malattia violenta e improvvisa, un ictus che l’ha colpita quando avevo 38 anni. Da quel momento la mia vita è cambiata così tanto che non ero più soltanto la madre di mia figlia, sono diventata anche la madre di mia madre».

Quella nuova situazione si è protratta a lungo?

«Per oltre vent’anni. È come se quell’evento mi avesse messo davanti agli occhi delle lenti d’ingrandimento che mi hanno permesso di vedere, con dettaglio microscopico, le debolezze, i difetti della vita. E al contempo, mi ha anche reso più tollerante, mi ha fatto capire quanto siamo imperfetti e quanto la vita possa cambiare». 

Quanto è stato veloce il cambiamento?

«Tutto è cambiato nel giro di una giornata. È stato un corso di crescita accelerato. Un colpo così repentino che mi ha portato a vedere la realtà con molta più chiarezza e da una prospettiva nuova: la mia vita sentimentale, i miei rapporti con il lavoro, gli amici. È come se fino a quel momento avessi nuotato sulla superficie del lago e qualcuno mi avesse all’improvviso sospinto verso il fondo».

Lei però non cede mai al pessimismo, vero?

«È un libro che ho scritto avendo come orizzonte di riferimento la speranza. Dovremmo essere grati di tutto quello che nella nostra vita ci aiuta ad ampliare la nostra coscienza».

Il suo è un libro su quanto sia incompiuta e imperfetta la vita?

«Sì, ma è anche un libro sul corpo, visto come una prigione, come qualcosa che ci schiavizza e su quanto dipendiamo da questo corpo. E, tuttavia, mia madre è la grande protagonista. Io l’avrei voluta diversa, magari più allegra, più vitale, e quando l’ho vista in un letto di ospedale mi sono resa conto che tutti i suoi difetti, tutte le sue imperfezioni, erano i miei difetti, le mie imperfezioni. Fino a quel momento non l’avevo mai vista come una persona».

A un certo punto lei scrive che sua madre era alle prese con una battaglia personale alla quale non poteva partecipare.

«Lei stava combattendo questa battaglia all’interno del suo corpo e io scrivo, nel romanzo, che avrei voluto poter entrare nel suo corpo per aiutarla.

Da qui nasce il senso di colpa che resta sullo sfondo in tutto il romanzo. Ho sempre pensato che se avessi prestato più attenzione, quella cosa non sarebbe successa».

Infatti il senso di colpa, nel suo libro, è onnipresente. Anche se immotivato, no?

«Fa parte della mia natura pensare che se mi distraggo, se non presto la massima attenzione a qualcosa, il mondo intorno a me crolla».

Nel libro c’è anche un compagno che rappresenta una storia d’amore irrisolta eppure ossessiva. Chi è Mario?

«Anche parlando dei rapporti sentimentali, non ho mai dato l’amore per scontato, ho sempre soppesato con una certa attenzione i vari elementi che lo costituivano, per capire quanto un rapporto fosse vero, autentico. Ma credo che questo tipo di storie d’amore molto passionali siano perfette per le persone che si annoiano molto».

Lei si annoia?

«Io non mi sono mai annoiata in vita mia. Ci sono persone che sono costantemente alla ricerca di storie passionali, estreme, perché devono uccidere la noia. Io non mi sono mai annoiata perché ho molta immaginazione».

Come spiega il suo successo? Merito del suo stile molto diretto, introspettivo, che muove il lettore all’empatia?

«Diciamo che se quella fosse la spiegazione, ne sarei molto felice». 

Come ha scoperto la sua voce? È stato un processo graduale?

«Non mi piacciono gli artifici, che non collimano con il mio carattere, che ritengo abbastanza austero. Credo che questa mia caratteristica si rifletta anche nel mio modo di praticare la letteratura, improntata a una grande spontaneità. Il primo respiro dopo la pioggia è particolarmente importante in questo percorso. Ho voluto dare il massimo con il minimo, senza crogiolarmi nel dolore».

Perché nei suoi libri i personaggi nascondono spesso dei segreti?

«Ho sempre avuto l’impressione che le persone siano molto misteriose. Qualunque persona, non bisogna per forza pensare a un artista o uno scrittore. Penso ai nostri vicini, ai nostri familiari, ai nostri amici. Tutti noi abbiamo dei segreti, è impossibile sapere tutto di qualcuno. Questo aspetto, nel romanzo, lo vediamo incarnato nel personaggio di Cati, l’amica di Lucia. Non sappiamo bene in cosa consista la sua vita, cosa pensi. In concreto, riferendomi ai miei genitori che purtroppo non ci sono più, mi rendo conto di non averli conosciuti quasi per niente. Posso dire di sapere qualcosa di loro, ma di certo non so in che modo abbiano percepito, sentito, la vita».

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