Milano, morto dopo il trapianto di cuore al San Camillo: «Gli atti tornino a Roma»

Milano, morto dopo il trapianto di cuore al San Camillo: «Gli atti tornino a Roma»
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Martedì 9 Ottobre 2018, 20:05
MILANO Non spetta ai magistrati di Milano bensì a quelli di Roma indagare sul caso di un 61enne romano cardiopatico morto nel settembre 2016 all’ospedale San Camillo dopo un trapianto di un cuore prelevato a un 48enne al San Raffaele, nel capoluogo lombardo, e inviato d’urgenza nella capitale. Lo hanno sostenuto oggi gli avvocati Loredana Vivolo e Mario Murano, legali della famiglia dell’uomo deceduto, nell’udienza davanti al gip Anna Calabi nel corso della quale hanno ribadito la loro opposizione alla richiesta di archiviazione dell’inchiesta per omicidio colposo a carico di cinque medici avanzata dal pm Francesco De Tommasi in seguito agli esiti di una consulenza tecnica da lui disposta.

DECISIONE A GENNAIO
Il pm, nel suo intervento, oltre a insistere con l’istanza di archiviazione, si è comunque associato «parzialmente» alla richiesta dei due avvocati di trasferimento del fascicolo ritenendo, però, sia competente la Procura che ha iscritto per prima la notizia di reato e cioè quella capitolina. Per i due avvocati, invece, la competenza territoriale dipenderebbe dal fatto che l’ultima parola sull’opportunità del trapianto, come hanno spiegato Vivolo e Murano, è stata data dall’equipe del San Camillo. Il giudice ha poi rinviato al prossimo 18 ottobre, quando cominceranno a parlare le difese che, è scontato, si opporranno all’eccezione e pure loro insisteranno con l’archiviazione dell’indagine. Un’altra udienza è stata fissata per il prossimo 29 gennaio, giorno in cui potrebbe arrivare la decisione.
«PATOLOGIE PREGRESSE»
Nell’inchiesta, già trasferita da Roma a Milano, risultano indagati per omicidio colposo cinque medici, due del San Raffaele e tre del San Camillo. A metà marzo sono stati depositati gli esiti di una consulenza disposta dalla procura milanese e dal lavoro degli esperti Cristina Basso, Ugolino Livi, Massimo Montisci e Francesco Tona è emerso che il «rischio di esito sfavorevole» dell’intervento era da considerarsi «standard e le anomalie riscontrate nel cuore del donatore potevano al più allertare gli operatori per un monitoraggio stretto post-trapianto, ma niente avrebbero potuto fare con l’insufficienza d’organo appalesatasi immediatamente dopo il trapianto». In sostanza, la conclusione della consulenza è che il cuore risultava «idoneo a scopo di trapianto». In seguito però l’avvocato Loredana Vivolo ha consegnato alla procura alcune controdeduzioni, così il pm ha chiesto ai suoi consulenti alcuni approfondimenti sul «tempo di ischemia», superiore alle «cinque ore». E in queste nuove analisi si parlerebbe di «patologie pregresse» dell’organo.
«IL CUORE ERA SANO»
Per il team di cardiochirurgia del San Camillo, invece, il cuore era perfetto. «L’organo trapiantato non era malato - spiega il direttore del reparto Francesco Musumeci - diverse sono le complicanze che possono aver portato alla morte». E ne indica cinque: «Un rigetto iperacuto, una riposta infiammatoria sistemica, una infezione da endotossina batterica, una sindrome legata ai farmaci per l’anestesia o a seguito di ipertensione polmonare struttuale». L’uomo, aggiunge il direttore, «era un paziente critico già operato al cuore, più volte ricoverato per scompenso cardiaco e con defibrillatore. L’intervento è andato bene, poi sono intervenute delle complicanze». Quanto al cuore, «è stato sottoposto a esame ecocardiografico al San Raffaele ed era risultato in condizioni ottimali per il trapianto. Stesso esito - precisa Musumeci - dall’esame di coronografia effettuato sempre a Milano. Tutto è avvenuto secondo i percorsi standard ed è stato fatto con grande attenzione e responsabilità, sia da parte dei medici del San Raffaele sia da quelli del San Camillo». Ribadendo le ottimali condizioni dell’organo trapiantato, lo specialista sottolinea come «in alcune situazioni, proprio a causa della scarsità di organi si accettano e utilizzano per il trapianto anche cuori che presentino piccole disfunzioni o imperfezioni, ma in questo caso tutti i parametri erano perfetti e non c’era alcuna evidenza contraria, come dimostrato dall’esito degli esami effettuati».
LINEE GUIDA
Alla luce dei pareri contrastanti, il pm De Tommasi ha deciso che l’esame degli esperti disposto dalla procura di Milano non è stato sufficiente e che serviva una perizia con la formula dell’incidente probatorio sul cuore.
In particolare il magistrato aveva chiesto ai suoi consulenti alcuni approfondimenti su presunte «patologie pregresse» dell’organo e sul tempo di ischemia (il periodo in cui il cuore rimane «isolato» dall’apparato circolatorio) che sarebbe stato di 5 ore e 11 minuti, quando invece le linee guida consigliano di non superare le quattro. Ma il gip Anna Calabi ha respinto l’istanza di una nuova perizia.
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