Vi erano elencati tutti segnali che lasciavano presupporre nel Paese l’inizio di un genocidio contro la minoranza musulmana dei Rohingya e si sottolineava il ruolo svolto da un movimento buddhista estremista. Volevo saperne di più: mi recai a Mandalay, la città più buddhista del mondo, e lì incontrai Wirathu e gli proposi questa avventura. Lo incontrai poco prima delle elezioni in Francia e gli dissi che Marine Le Pen condivideva molte delle sue idee e che probabilmente avrebbe fatto applicare delle leggi molto simili a quelle che lui era riuscito a far votare in Birmania. Volevo parlare dei problemi dell’Occidente avvicinandomi a un personaggio per il quale il buddhismo era intriso di nazionalismi e populismi. Non volevo esprimere un giudizio, ma alla fine è venuta fuori la verità». «Il venerabile Wirathu» è una contraddizione in termini: un buddhista che predica l’odio. In generale le religioni predicano la pace. C’è anche però chi le usa per veicolare parole d’odio che dopo un periodo di incubazione possono portare alla violenza e alla discriminazione. Come è successo in Birmania, dove sono riusciti ad annientare quasi la metà di questa piccola minoranza, costringendo più di 700mila persone ad andarsene, di cui tanti a rifugiarsi nel vicino Bangladesh. Ma dietro questi incendi, arresti, torture, stupri di massa, esecuzioni e dietro tutte queste persecuzioni che hanno privato i Rohingya della nazionalità birmana e dei propri diritti costringendoli a scappare c’è qualcun altro oltre al «Venerabile Wirathu?».
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