Salva Roma, Marino sotto assedio minaccia le dimissioni

Ignazio Marino
di Mauro Evangelisti
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Giovedì 27 Febbraio 2014, 07:51
Ignazio Marino, un uomo solo e sotto assedio. Che ieri andava ripetendo a tutti - a partire dalle telefonate con il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Graziano Delrio, e con il segretario regionale del Pd, nonché parlamentare, Fabio Melilli - che non ci avrebbe più messo la faccia, che non avrebbe governato il Campidoglio senza il paracadute del Salva-Roma.



C’era l’assedio della minoranza, con il predecessore Alemanno che ha chiesto un consiglio comunale straordinario e lo ha invitato a presentare un piano di rientro serio, «altrimenti si dimetta»; ma c’era anche una distanza evidente con Renzi. Raccontano che per tutta la giornata Marino e il premier si siano cercati al telefono senza trovarsi; un dato spiccava: non c’era una dichiarazione di Renzi sul Salva-Roma, non l’ha vissuta esattamente come quell’emergenza nazionale di cui parlava Marino.



La cronaca. Fin dal mattino il sindaco si chiude in una stanza con il suo cerchio magico (l’assessore Alessandra Cattoi e la collaboratrice Silvia Decina) e va ripetendo quasi in trance: «Così non si può governare Roma». Intervengono dal Pd romano per calmarlo, ma con risultati decisamente deludenti. Al pomeriggio il sindaco esce dal mood catastrofista, forza la mano e si reca a Palazzo Chigi.



Non c’è un solo ministro a riceverlo, alla fine parla con Legnini, che di fatto è un parlamentare in attesa di essere confermato sottosegretario. Si trovano d’accordo su un punto: è assai complicato reiterare il decreto per la parte delle risorse destinate al 2014 (per un totale di 320 milioni), si può rinviare a giugno il termine per l’approvazione del bilancio. Stessa scena alle 18: Marino pedala fino alla sede del ministero dell’Economia, incontra i tecnici, c’è ancora Legnini, ma non il ministro Pier Carlo Padoan. Marino si deve così accontentare di una dichiarazione del ministro per i Rapporti con il Parlamento, Maria Elena Boschi, che sul Salva-Roma promette di «recepire con un diverso provvedimento le norme ritenute indispensabili». «Così lascio», ripete Marino davanti a ogni registratore che incontra nel suo girovagare tra Campidoglio, Palazzo Chigi e sede del Mef. Anche se poi aggiunge: ma non vuole dire che mi dimetto. Poi però a fine giornata si sfoga su Facebook: «Tutto è sbagliato, a cominciare dal nome: Salva-Roma. Come se questo decreto riempisse le nostre casse. Così non è.



Sono solo norme che consentono a Roma di recuperare risorse già versate come prestito alla gestione commissariale utilizzando le tasse dei cittadini romani». E poi riecco il mood catastrofista: «Roma continua ad essere ostaggio dell'ostruzionismo ideologico di chi, come Lega e M5S, per esprimere la propria contrarietà al nuovo governo attacca la Capitale senza preoccuparsi delle conseguenze, senza capire che a farne le spese sono milioni di cittadini. Se si prende seriamente in considerazione che questa è la Capitale e c'è bisogno di un intervento del governo, io sono disponibile e onorato di fare la mia parte. Se l'idea è quella che Roma debba chiudere, che le municipalizzate debbano fallire, non sono disponibile. Non sarò io, ma un commissario liquidatore a licenziare migliaia di persone e a vendere tutte le aziende del Comune».
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