La Corte d'Appello ha sancito il diritto dei ricorrenti a vedersi corrispondere, in relazione al periodo in cui collaborarono con Foodora, somme di denaro calcolate «sulla base della retribuzione diretta indiretta e differita stabilita per i dipendenti del quinto livello del contratto collettivo logistica trasporto merci», deducendo quanto già percepito all'epoca. È stata respinta invece la richiesta di riconoscere la sussistenza del licenziamento discriminatorio. I giudici hanno condannato la società a rifondere una parte delle spese di lite, fissate in circa 11 mila euro per il primo grado e 10.400 per il secondo.
«Non possiamo non dirci soddisfatti, la sentenza dimostra che non eravamo dei pazzi quando affermavamo che queste persone avevano dei diritti». È il primo commento dell'avvocato Silvia Druetta, uno dei legali degli ex fattorini Foodora, alla pronuncia della Corte d'Appello di Torino. «È la conferma - aggiunge - che i diritti esistono».
«Evviva!!! Il processo d'appello ha parzialmente rovesciato il primo grado di giudizio e accolto il ricorso dei fattorini contro Foodora. Finalmente il giudice ha riconosciuto alcune semplici verità: chi è diretto e organizzato da un datore che trae profitto dalla sua fatica, è un lavoratore, a tutti gli effetti subordinato. Altro che lavoretti». Lo affermano il segretario nazionale di Sinistra Italiana Nicola Fratoianni di Liberi e Uguali e il capogruppo di Leu alla Regione Piemonte, Marco Grimaldi. «Se per aver protestato - proseguono i due esponenti della sinistra - si perde la possibilità di continuare a lavorare significa che si è stati licenziati. Se ciò è avvenuto a causa delle proprie idee sgradite, si tratta di discriminazione e si ha diritto a essere indennizzati». «E questo a prescindere dal fatto che vi sia di fatto un caporalato digitale che fa a meno dei contratti collettivi - concludono Fratoianni e Grimaldi - e paga a cottimo. Un passo alla volta. Ma questo è un passo importante per il sacrosanto riconoscimento dei diritti di persone che nel nome di una falsa modernità di fatto sono e sono stati i nuovi schiavi del terzo Millennio».
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