In cerca di fiducia, l’orgoglio dei numeri buoni può far compiere il miracolo

In cerca di fiducia, l’orgoglio dei numeri buoni può far compiere il miracolo
di Marco Fortis
5 Minuti di Lettura
Domenica 21 Dicembre 2014, 18:53 - Ultimo aggiornamento: 25 Dicembre, 12:21
C’è in Italia come in poche altre nazioni la diffusa e antica convinzione (rafforzatasi in modo esponenziale nel periodo in cui Berlusconi diceva che «i ristoranti sono pieni») che dietro qualunque indicatore socio-economico positivo del nostro Paese si celi il tentativo del governo o di qualche partito politico di oscurare i problemi strutturali che ci affliggono, la sofferenza delle famiglie più disagiate, la gravità di una qualche crisi in atto.



Per cui, ogni notizia economica buona è guardata sempre con una certa diffidenza e tanti italiani sono subito propensi a pensare che sia un trucco. Anche perché le nostre élite culturali hanno sempre supportato questa interpretazione, facendosi paladine della verità di fronte al rischio di qualsiasi strumentalizzazione. Con ciò svolgendo un utile compito di vigilanza ma diffondendo tuttavia una esagerata cultura del sospetto anche nell’informazione economica.



Il risultato è che col passare degli anni in Italia le notizie cattive si sono sedimentate formando una montagna difficile da rimuovere, mentre le notizie buone non fanno quasi mai notizia o volano subito via come foglie al vento. Il fenomeno si è amplificato durante l’attuale recessione che per la sua durata e profondità ha ovviamente reso più acuti i problemi strutturali italiani ed ampliato la platea dei disoccupati e dei nuclei famigliari in difficoltà.



Tuttavia, se da un lato aver ben chiaro il quadro reale delle questioni economiche da tempo aperte della nostra società ed essere pienamente consapevoli dell’estensione di una crisi come quella che stiamo vivendo è sicuramente un segno di serietà, dall’altro lato ignorare sistematicamente o non considerare degne di fede le notizie buone o i progressi economici (che pure ci sono in Italia in vari ambiti e settori) fa correre il rischio che la nazione sprofondi in una specie di pessimismo cronico. Pessimismo pericoloso soprattutto per due ragioni. In primo luogo perché in economia il fattore fiducia per famiglie, consumatori, risparmiatori, investitori, imprese è uno straordinario volano di crescita: se non c’è fiducia il ciclo economico si accartoccia pericolosamente su se stesso e rischia di trasformarsi in una lunga depressione.



Questo è un grave rischio oggi per l’Italia. In secondo luogo, perché se si vive solo di cattive notizie senza sapere che ve ne sono molte anche buone si rischia di rappresentare una nazione allo sfascio non solo ai nostri occhi ma anche a chi ci guarda dall’esterno: a cominciare dai giornalisti stranieri in Italia che inviano le loro corrispondenze in patria sino ai mercati finanziari, alle agenzie di rating, agli osservatori della Commissione europea o del Fondo monetario internazionale, agli investitori esteri che giustamente si chiedono perché mai dovrebbero mettere i loro soldi in un Paese «allo sfascio». Una costante (e talvolta persino ostentata) autosvalutazione da parte degli italiani e delle loro leadership culturali si è così trasformata a poco a poco in un vero disastro comunicazionale per l’Italia.



Scrivevamo sul Messaggero del 4 marzo scorso che il governo italiano avrebbe dovuto «impegnarsi a comunicare meglio ed in modo più sistematico ai cittadini, ai mercati ed alle istituzioni internazionali gli sforzi e i sacrifici che il nostro Paese sta facendo per stabilizzare le finanze pubbliche, oltre che per riposizionarsi in modo vincente nello scenario della competizione globale». Perché «l’Italia non è solo – e comunque lo è in minima parte – quella del “triangolo dei fuochi”, degli sprechi dei consiglieri regionali del Piemonte, del Lazio o della Sicilia, della burocrazia opprimente e dell’evasione fiscale». E potremmo aggiungere, aggiornando a queste ultime settimane la lista nera, che l’Italia non è soltanto la mafia romana o i recenti scandali del Mose e dell’Expo. No, l’Italia è ben altro che queste miserie, come sempre ci ricorda il Presidente Giorgio Napolitano, di cui attendiamo il discorso di fine anno che sarà come sempre saggio.



E’ quindi molto positivo che finalmente la necessità di «cambiare verso» anche nella comunicazione del nostro Paese sia diventata una delle priorità dell’attuale governo. C’è tanto tempo perso da recuperare per rimontare la china dell’autosvalutazione ma è assolutamente necessario farlo, anche perché sarebbe veramente masochistico presentarsi all’appuntamento dell’Expo 2015 con una Italia appiattita su stereotipi negativi e mal rappresentata addirittura da noi stessi.



Sul sito internet del ministero dell’Economia e delle Finanze, per iniziativa del ministro Padoan da alcuni giorni è attiva una sezione in italiano e in inglese denominata #prideandprejudice, che presenta per la prima volta in modo ufficiale ed organico una serie di indicatori positivi sulle nostre finanze pubbliche (che spesso nemmeno gli italiani conoscono, figuriamoci gli stranieri!). Si spiega nel sito www.tesoro.it che rispetto alla Germania ed altri Paesi le nostre banche non hanno praticamente ricevuto aiuti di Stato durante la crisi; che le nostre impegnative riforme delle pensioni hanno stabilizzato in modo virtuoso il sentiero di lungo periodo del debito pubblico italiano come in nessun altro Paese dell’Ue; che il nostro bilancio statale primario (cioè prima del pagamento degli interessi) è stato ampiamente positivo e tra i più stabili in Europa e nel mondo negli ultimi 20 anni; che il deficit pubblico italiano è tra i pochi in regola e sotto il 3% del Pil; che anche per questa ragione il nostro debito pubblico è quello cresciuto percentualmente di meno in valore dal 2008 al 2014 nell’Ue dopo quello svedese.



Uno scatto d’orgoglio nazionale che è subito finito, attraverso un fitto passaparola, sui siti internet di numerose associazioni produttive del made in Italy, le quali a loro volta hanno invitato a diffondere i dati del #prideandprejudice a tutti i loro soci e clienti stranieri. E’ accaduto, a esempio, su www.federlegnoarredo.it, www.anima.it, www.farmindustria.it, www.federvini.it, www.ucimu.it. Mentre Coldiretti ha pubblicato sul proprio sito internet «Le 10 verità sulla competitività dell’agroalimentare italiano». Se le associazioni del mobile, della meccanica, dell’industria farmaceutica, del vino, delle macchine utensili e degli agricoltori, che raggruppano migliaia di imprese e centinaia di migliaia di lavoratori (i quali contribuiscono a fare del nostro Paese il quinto al mondo per surplus commerciale manifatturiero con l’estero) credono fermamente all’Italia vera che compete e cerca di migliorare ogni giorno, perché non dovremmo crederci anche noi? Non ci sono “trucchi”: è la semplice verità.



Il 2015 può davvero essere l’anno del rilancio dell’orgoglio italiano in Europa e nel mondo. Una opportunità che non possiamo assolutamente permetterci di sprecare.