Francesco Caio: «Senza banda ultralarga tutto diventa più difficile»

Francesco Caio: «Senza banda ultralarga tutto diventa più difficile»
di Andrea Bassi
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Domenica 21 Dicembre 2014, 18:02 - Ultimo aggiornamento: 31 Dicembre, 11:03
Ingegner Francesco Caio, lei nel 2008 realizzò per l’allora governo un piano per la banda larga nel quale consigliava, se si voleva raggiungere in 5 anni il 50% della popolazione con una velocità di 100 Mega, di creare una società della rete e investire risorse pubbliche. Sette anni dopo, il governo Renzi pianifica di raggiungere entro il 2020 l’85% della popolazione con 100 Mega investendo 6 miliardi di risorse pubbliche. Siamo ancora al punto di partenza o è un passo avanti?

«Faccio una considerazione generale. Ogni iniziativa che un governo fa per tenere alto il livello di attenzione sul tema è benvenuta. Lei ricorderà che nel piano di inizio anno il suggerimento era di avere un monitoraggio pubblico, continuo, condiviso, permanente su questo tema».



Allude al piano del governo Letta, che portava la sua firma. Lei chiedeva questo controllo politico perché non si fidava che gli investimenti privati bastassero a raggiungere gli obiettivi dell’Agenda digitale?

«Il controllo politico, come dice lei, serviva a verificare che i piani sulla banda larga degli operatori privati fossero effettivamente implementati. Il dibattito vivo sotto l’egida di un governo attento può muovere gli investimenti sulla rete. Su questo, il mio giudizio sul piano Renzi, è un giudizio positivo. Si tratterà poi di capire se il mercato sarà in grado da solo di raggiungere gli obiettivi o se serviranno forme di intervento».



Il piano Renzi, in realtà, su questo è abbastanza chiaro. Ponendo l’asticella della copertura a 100 Mega all’85% della popolazione, getta le basi per un investimento pubblico già quantificato in 6,2 miliardi. Accanto a questo, però, sarà necessario un impegno altrettanto consistente delle società private...

«Per parlare di numeri precisi bisogna conoscere le architetture di rete e le migrazioni. Detto questo i numeri mi sembrano sufficienti a creare questa estensione della rete, anche perché il Fiber to the cabinet (la banda larga fino agli armadi in strada, ndr) come passo intermedio sta dando risultati che non erano immaginabili solo qualche anno fa».



Aveva ragione Telecom, la fibra può arrivare fino alla strada e non fin dentro casa?

«Vede, io credo che serva una buona visione e tanto pragmatismo. Ipotizzare l’optimum quando non si riesce a fare il buono è illusorio. Oggi abbiamo una consolidata esperienza in Europa, dall’Inghilterra alla Germania, che hanno fatto della fiber to the cabinet un gradino importante per adeguare la rete alle esigenze dei clienti di oggi».



Nel piano di infrastrutturazione a banda larga, ritiene che la Cassa depositi e prestiti possa avere un ruolo?

«Se parliamo di pragmatismo, dobbiamo parlare di pragmatismo tecnologico e di pragmatismo attuativo. Il governo non dovrebbe decidere solo il modello tecnologico, ma anche come ci si organizza per ottenerlo. Negli ultimi anni si è utilizzata per gli investimenti pubblici Infratel, ma i fondi sono finiti ad una rete intermedia, non di accesso. Se è stato funzionale quel modello, forse bisognerà pensarne degli altri per fare l’ultimo miglio».



Un ruolo di società della rete sull’ultimo miglio potrebbe averlo Metroweb, partecipata, appunto, dalla Cdp e sul controllo della quale si sta giocando una dura partita tra Telecom e Vodafone?

«Lei pone una domanda su società che hanno propri azionisti demandati a prendere queste decisioni. Su questo non commento. Quello che però è importante ricordare è che questi investimenti, soprattutto nelle aree bianche, quelle dove non c’è domanda sufficiente di mercato, sono giustificati solo se li fa uno e non molti. Chi potrà essere questo uno lo decideranno governo, regolatore e azionisti delle società. L’importante è garantire trasparenza sui meccanismi di rivendita della capacità di banda».



La digitalizzazione della pubblica amministrazione è un altro degli obiettivi dell’Agenda digitale. Ma i progressi, anche qui, non sono rapidissimi...

«Sulla digitalizzazione della Pubblica amministrazione l’ostacolo non è la rete».



Qual è allora?

«La standardizzazione dei dati. Abbiamo più capacità installata di quella che servirebbe. Oggi la pubblica amministrazione è il regno del Pdf».



In che senso, scusi?

«L’assurdo nel quale ci troviamo, è che negli uffici i documenti vengono trasmessi spesso in Pdf, stampati, messo un timbro e trasferiti al prossimo ufficio. Non si può digitalizzare se non si cambiano i processi».



Come si deve procedere?

«Innazitutto cambiando la Governance».



La governance?

«La Costituzione, pur in un sistema regionale di federalismo, riserva e continua a riservare al governo centrale il presidio dell’organizzazione dei dati informatici. È un potere che il governo ha esercitato solo in parte. Con il progetto sull’identità digitale abbiamo dimostrato che il governo può imporre degli standard ai quali tutti si devono attenere. È successo con la fatturazione elettronica, già resa operativa per le amministrazione centrali, succederà per l’identità digitale. Quando riusciamo ad imporre standard ci rendiamo conto di possibilità di efficienza e risparmi da far tremare i polsi».



Ci sono stime dei potenziali risparmi?

«Ne ho viste molte, siamo nell’ordine dei miliardi di euro».



Parliamo di Poste. Sulla digitalizzazione il nuovo piano industriale prevede investimenti per 3 miliardi. Per fare cosa?

«I tre miliardi sono articolati nella maggioranza su piattaforme digitali. 500 milioni serviranno per una manutenzione degli uffici postali. Ognuno dei tre grandi business, postale-logistico, pagamenti elettronici, assicurazione e risparmio, ha delle esigenze particolari di digitalizzazione. Poi c’è un grande sforzo nell’e-commerce di poter dotare Poste di sistemi di interfaccia con chi vende, come Amazon, sia per chi compra».



Ma il postino potrà accettare pagamenti?

«Sì, potrà farsi pagare come contrassegno usando pos mobile, ma sarà anche un elemento di raccolta presso i clienti per la logistica di ritorno. Se ti consegno un abito ed è sbagliata la taglia lo puoi rimandare indietro».