Ethan Hawke, «pacifista violento» nel suo ultimo film "La notte del giudizio"

Ethan Hawke, «pacifista violento» nel suo ultimo film "La notte del giudizio"
di Francesca Scorcucchi
3 Minuti di Lettura
Lunedì 12 Agosto 2013, 11:49 - Ultimo aggiornamento: 11:50
ROMA - Il cinema non fa altro che esasperare aspetti della societ che esistono gi. A dirlo Ethan Hawke, protagonista del film The Purge, in sala in Italia con il titolo "La notte del giudizio", che ipotizza un mondo futuro in cui una societ ricca e fascista rende legale, un giorno all’anno, l’omicidio.

Nella notte della purga i ricchi se ne stanno nelle loro belle case fortificate, mentre i poveri, esposti e indifesi, vengono falcidiati dai tanti giustizieri che decidono di dare sfogo al loro istinto violento. «Hollywood non inventa, esagera. Tutto qui. Esagera uno scenario per farti notare cose che già esistono». Dice Hawke, che ha partecipato a The Purge, una produzione indipendente, più per il messaggio forte che vuole trasmettere che per la prospettiva di successo o guadagni. «Ho dormito sul divano del produttore durante le riprese, il nostro è un film a bassissimo budget, fatto da gente che voleva dire qualcosa al pubblico. L’idea di un gruppo di persone che vive in una comunità protetta fregandosene di cosa succede intorno, non è poi così lontana da noi. Cosa accadrebbe se il Darfur non fosse così lontano dalle nostre belle case? Cosa accadrebbe se fosse un sobborgo di Los Angeles? E in qualche modo lo è: ci sono zone a Los Angeles dove nessuno di noi sognerebbe mai di mettere piede. Lo stesso accade a New York dove ci sono bambini che non hanno mai visto un parco giochi come quello che i miei figli hanno nel cortile a scuola. Eppure questi bambini vivono a un passo dai miei ragazzi. Ed è inutile che ce lo nascondiamo a fare la differenza sono le razze, la classe e il denaro». Cambieranno le cose? «Non lo so, lo spero, ma non ne sono sicuro».



LE POLEMICHE

Il film ha generato polemiche, soprattutto a causa della violenza rappresentata: «È un film violento, con un messaggio opposto, totalmente pacifista, – dice l’attore – ma è dai tempi di Giulio Cesare che l’uomo racconta storie violente per educare e insegnare valori positivi. In Francia questo film è intitolato Incubo americano. Certi tipi di violenza vengono spesso identificati con lo stile di vita a stelle e strisce. Un po’ ce lo meritiamo. La relazione degli americani con le armi è davvero esagerata e fuori tempo, ed è molto americano fare un film violento per lanciare un messaggio pacifista». Secondo Hawke la violenza fa parte della natura umana e il cinema è una rappresentazione del mondo, e come tale non può far finta che la violenza non esista. «Ricordo tempo fa a Cannes, un grande critico cinematografico, recentemente scomparso, Roger Ebert, si alzò e fece un brindisi nei confronti del sottoscritto. Ero l’unico attore che non aveva mai ucciso nessuno in un film. Ricordo di aver pensato che avevo appena finito di girare un film in cui, appunto, uccidevo qualcuno, e che Ebert non lo sapeva ancora. La verità è che se sei un attore americano ad un certo livello della tua carriera, è davvero difficile che non ti capiti di rappresentare qualche forma di violenza».



POCHI RUOLI

Non ci sono molti ruoli a Hollywood se sei un attore drammatico – lamenta Hawke – e non è possibile fare lo schizzinoso. «Negli anni Novanta ci lamentavamo, guardando con invidia agli attori degli anni Settanta, ora sono gli anni Novanta a essere guardati con nostalgia. Per un attore drammatico o ti chiama Spielberg per fare Lincoln oppure puo’ non essere per niente facile. Spesso sono i film indipendenti a basso budget come questo a rappresentare la differenza fra la disoccupazione e la possibilità di fare un film che dica qualcosa, che non sia solo un lavoro per fare soldi». Secondo l’attore il problema della violenza, così ben rappresentato nel film, riguarda soprattutto l’espressione della rabbia: «Nella civiltà moderna è così difficile trovare la maniera giusta per esprimere la tua rabbia. Se lo fai apertamente è sbagliato, se te la tieni dentro è altrettanto sbagliato. La violenza spesso è figlia della rabbia repressa».
© RIPRODUZIONE RISERVATA