Economia, la nuova bussola del superministro

di Osvaldo De Paolini
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Venerdì 21 Febbraio 2014, 08:36 - Ultimo aggiornamento: 09:09
Meno austerity e tanto sviluppo. Sono le parole chiave che Matteo Renzi ha cercato in questi giorni nei numerosi curricula che gli sono stati sottoposti per individuare l’uomo cui affidare il ministero dell’Economia.



Un incontro con il governatore Ignazio Visco e messaggi non proprio sottintesi provenienti da Francoforte, lo hanno poi convinto che per quel ministero è indispensabile una figura con caratura internazionale, riconoscibile nei grandi consessi mondiali e buon conoscitore delle dinamiche dei mercati. Di qui a individuare in Carlo Padoan, vicesegretario generale dell’Ocse in attesa di assumere la presidenza dell’Istat, l’identikit del ministro ideale per Renzi, il passo è stato breve.



Soprattutto se si considera che sono note le propensioni di Padoan per un significativo alleggerimento delle tasse sul lavoro e sulle imprese a fronte di tagli netti della spesa pubblica. Inoltre, non è difficile individuare nelle più recenti interviste rilasciate dall’economista una decisa preferenza per la crescita piuttosto che una preoccupazione eccessiva per il debito. Secondo Padoan, gli oltre 2 mila miliardi di debito che gravano sulle spalle degli italiani non sono tali da far drizzare i capelli, perché se è vero che l’Italia è uno dei paesi con più debito, è pure vero che è il paese, nell’area Ocse, che ha meno bisogno di aggiustare il surplus primario per stabilizzarlo.



Naturalmente la certezza che il designato sia Padoan ancora non c’è e sorprese dell’ultima ora sono sempre possibili. Ma non v’è dubbio che chiunque verrà designato dovrà ispirarsi a quei principi, visto che è solo così che può essere edificato il primo dei due pilastri che sosterranno la ripresa modello Renzi.

La parte più difficile è però nella realizzazione del secondo pilastro, in considerazione del fatto che cambia il terreno di gioco e soprattutto cambiano gli attori protagonisti. Il nuovo ministro dell’Economia dovrà perciò avere anche grandi doti di negoziatore, visto che dovrà vedersela con una Bce non sempre amica e il fronte dei banchieri del Nord guidati dalla Bundesbank.



Non sarà infatti sfuggito l’avvertimento che il governatore Mario Draghi va diffondendo da qualche settimana - diretto soprattutto alle banche italiane - e cioè che con l’avvio della revisione della qualità degli attivi (l’ormai nota asset quality review) nel nostro Paese sarà ancora più difficile per imprese e privati ottenere prestiti bancari. L’ulteriore stretta provocata dai nuovi accantonamenti pretesi dalla Bce per ridurre il rischio legato alle crescenti sofferenze (giunte a un passo da 160 miliardi), in aggiunta ai lacci taglienti studiati a tavolino da banchieri che non sanno che cosa vuole dire concedere un prestito (i tecnici dell’Eba, per essere precisi), ebbene questa nuova stretta sottrarrà al sistema del credito altre quote di capitale altrimenti destinate ai finanziamenti privati.



Intuibile il probabile ulteriore avvitamento del fenomeno di credit crunch che da anni strozza il sistema nazionale, diventato ormai una delle cause prime della stagnazione dei consumi e della caduta del Pil. Ecco dunque la necessità di un ministro con carisma e grandi doti negoziali, che gli consentano di vendere al meglio l’azione riformatrice del governo fino a premere sulla stessa Banca d’Italia affinché eserciti la sua azione mediatrice con le autorità europee, invertendo così un trend di esasperato rigore di cui anche la Vigilanza di via Nazionale è caduta vittima al punto da ingenerare dubbi sugli effetti benefici della sua attività.



Peraltro, un ministro dell’Economia con grandi capacità negoziali sarà altresì indispensabile nel momento in cui si comincerà a riempire di contenuti l’edificio dell’Unione bancaria, l’unico vero tavolo europeo tra quelli attualmente in piedi capace di imprimere una svolta ai destini Ue. Ma soprattutto capace, se gestito con la necessaria autorevolezza, di evitare al sistema bancario italiano l’ennesima trappola sul fronte della concorrenza sleale, che incidendo sulla sua capacità di prestare ne ridurrebbe ulteriormente l’efficacia sulla ripresa. Quale trappola? Per quante rassicurazioni siano giunte, sullo sfondo resta il pericolo che le banche italiane siano costrette a valutare col criterio del mark to market (ovvero al prezzo di mercato, invece che al costo di acquisto) i titoli del Tesoro italiano in portafoglio, mentre lo stesso criterio non verrebbe applicato ai titoli tossici di cui ancora oggi sono gonfi i caveau delle banche tedesche, soprattutto medie.



Dunque, chiunque per volontà di Matteo Renzi sarà chiamato a sedere sulla poltrona che fu di Quintino Sella, sappia che dovrà cimentarsi anche su questo fronte sia per fornire uno slancio vitale alla ripresa dell’economia nazionale sia per tutelare il risparmio degli italiani custodito nei forzieri delle banche.