Vicino a ognuno perché tutti sentano Cristo

Papa Giovanni Paolo II inginocchiato davanti alla Porta Santa della Basilica di San Pietro
di Rino Fisichella
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Venerdì 18 Aprile 2014, 17:27 - Ultimo aggiornamento: 27 Aprile, 11:00
“Santo subito”. Tutti ricordano lo striscione che dominava Piazza San Pietro il giorno dei funerali di Giovanni Paolo II. Non era solo un auspicio. Indicava molto di più. Quella scritta era il sentimento comune del popolo di Dio che aveva percepito e compreso la santità del suo Papa. Abbiamo esperienza di incontri con persone che passano come delle meteoriti nella nostra vita. Fanno brillare per un attimo il nostro animo e lo provocano, anche se poi l’entusiasmo si esaurisce nel giro di poco tempo. La loro parola colpisce, ma la forza della provocazione è troppo veloce.



Per Giovanni Paolo II è stato diverso. Lui ha vissuto gomito a gomito per ventisette anni con il suo popolo. Un tempo lungo. Da una parte, questo ha permesso di cogliere in profondità la santità della sua esistenza e la ricchezza del suo insegnamento. Dall’altra, dimostra la grandezza di quest’uomo che per tutta la sua vita ha saputo dare il meglio di sé. La santità, d’altronde, è proprio questa convinta costanza che giorno dopo giorno ti porta a seguire il Vangelo. E’ santo chi sa abbandonarsi al Signore e trovare in lui il senso ultimo della vita.



Mi tornano alla mente molte espressioni di Karol Wojtyla che mi hanno fatto toccare con mano la sua santità. Una, in modo particolare, sento l’esigenza di condividere. Sono stato diverse volte a contatto con il Papa. In alcuni momenti era per motivi inerenti il lavoro, altre volte come invitato a pranzo. In questa circostanza era tradizione che si passasse prima nella cappella privata per un breve momento di preghiera. Giovanni Paolo II ci salutava all’ingresso e poi prendeva posto al suo inginocchiatoio. Fino all’ultimo della sua sofferenza, la sua posizione preferita era quella. In ginocchio davanti a Cristo. La cosa che più mi ha colpito, comunque, è stata quella di avere la netta sensazione che per lui il tempo non passava. Restava immobile in quella posizione, pregando. Non conosco il contenuto della sua preghiera, ma ho percepito il suo atteggiamento orante. Lo sguardo fisso sul tabernacolo e la sensazione che stesse parlando con qualcuno.



Mentre per me il tempo passava, per lui no. Quanto breve avrebbe dovuto essere quella visita in cappella non è dato sapere. So solo che se don Stanislao non andava a scuoterlo delicatamente e a sussurrargli qualcosa all’orecchio, Giovanni Paolo II sarebbe rimasto così per delle ore intere, incurante di tutti. Siamo abituati a conoscere i suoi grandi gesti in mezzo alle folle, i suoi sorrisi, gli abbracci e gli sguardi colmi di affetto e amore. Tutto questo però proveniva dal suo previo rimanere in silenzio a contemplare il volto di Cristo.



Fin dall’inizio del suo pontificato Giovanni Paolo II aveva parlato del grande Giubileo dell’anno 2000. A conclusione di quell’evento straordinario, da lui atteso e vissuto con estrema dedizione, aveva pubblicato l’Esortazione Novo millennio ineunte. Il cuore di quel testo rimane la sua riflessione centrata sul volto di Cristo. Non era per lui una semplice meditazione. Era, al contrario, il racconto della sua esperienza di fede. «La nostra testimonianza sarebbe insopportabilmente povera, se noi per primi non fossimo contemplatori del suo volto». Questa espressione, da sola, afferma la santità di Giovanni Paolo II. Sono profondamente convinto che questa dimensione costituisca la chiave di lettura coerente per comprendere la sua santità e tutta la sua vita. D’altronde, l’insegnamento che ha lasciato non è altro che un commento alla centralità di Cristo e di come l’esistenza cristiana debba indirizzarsi per aderire giorno dopo giorno a lui, il Signore e redentore dell’uomo.



Ho letto migliaia e migliaia di pagine che raccolgono gli atti processuali per mostrare la sua vita di santità soprattutto nell’aver vissuto in modo eroico le virtù teologali e cardinali. Le testimonianze raccolte tuttavia sono solo una parte infinitesimale di quanto milioni di persone avrebbero potuto dire a conferma della sua santità. Non sono mancate voci contrarie, segno che il santo si pone come espressione di discernimento e di critica che alcuni non vogliono vedere né ascoltare. Tornano alla mente le parole di un altro santo, John Henry Newman che scriveva: «I santi sono stati innalzati per essere un memoriale e un insegnamento: ci fanno memoria di Dio, ci introducono nel mondo invisibile, ci apprendono che cosa Cristo ami, tracciano per noi la strada che conduce al cielo». E’ proprio così. Giovanni Paolo II ha indicato un percorso che tutti siamo chiamati a fare.



Lui, lo ha percorso in prima persona con fedeltà e coerenza, conscio della grande responsabilità di cui era stato investito. Ha fatto della santità la sua meta da perseguire, perché questa era stata da sempre la sua vocazione. Si può dire con semplicità che la sua santità è consistita nel farsi vicino a ognuno che incontrava sulla sua strada per far cogliere a tutti la vicinanza di Cristo stesso. La vicinanza di Giovanni Paolo II al popolo di Dio, è stata la compagnia della fede che egli ha offerto a ognuno di noi. Un tratto di strada che egli ha percorso in salita fino a giungere realmente al Golgota.



L’immagine del venerdì santo, pochi giorni prima della morte, che lo ritrae stanco e affaticato, privo della parola ma aggrappato con tutto se stesso al crocefisso che teneva stretto tra le mani, rimane come la sintesi della sua santità. Totus tuus non era più un’espressione scritta nel suo stemma. In quel momento era icona e sintesi di tutta la sua vita. La testimonianza che Giovanni Paolo II ci ha lasciato diventa responsabilità per mantenere viva e feconda la sua santità.
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