Paolo Balduzzi
Paolo Balduzzi

Missione Truss/ La ripartenza di Londra complicata dalla Brexit

di Paolo Balduzzi
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Giovedì 8 Settembre 2022, 00:19

C’è un po’ di Italia in quello che sta succedendo a Londra in queste settimane. Ma, come spesso accade quando si parla di politica, non è certo un complimento. Mary Elizabeth Truss è la nuova premier britannica. Si tratta del quarto trasloco al 10 di Downing Street in poco più di sei anni, partendo da David Cameron (fino al 2016) e passando attraverso i brevi governi di Theresa May (2016-2019) e Boris Johnson (2019-2022). 

Della nuova premier si è già scritto tantissimo in questi giorni. Si scopre dalla biografia ufficiale che ha studiato economia all’università di Oxford (con filosofia e scienze politiche) mentre secondo il gossip amerebbe parlare ogni notte di econometria con suo marito. Visto dunque che l’economia, per la Truss, è sia parte della sua formazione che (si immagina) del suo diletto, vale la pena di analizzare le proposte economiche della neopremier di fronte alle grandi sfide che il Regno Unito dovrà affrontare nei prossimi mesi: inflazione elevata (superiore al 10%), gli effetti della Brexit, il pericolo recessione e, naturalmente, la questione energetica. 

Una premessa: in molti hanno voluto accostare la figura e le ricette di Liz Truss a quelle di Margareth Thatcher. Forse, con eccessivo autocompiacimento, è stata la stessa Truss a suggerire il paragone, specialmente durante la sua campagna elettorale per diventare capo del partito conservatore. Francamente, perlomeno al momento, la distanza appare enorme.

Truss e Thatcher hanno in comune solo il fatto di essere donne: ma ormai, nel 2022, che una donna sia al vertice di uno Stato o di una istituzione politica fa davvero notizia solo nel nostro Paese. 
Tuttavia, se, da un lato, i paragoni con Margareth Thatcher appaiono per l’appunto esagerati, dall’altro lato vale sempre la regola per cui il giudizio su un governo andrà dato al termine della sua esperienza. Lasciando infine il giudizio della storia ai posteri. Per questa stessa ragione appare fuorviante concentrarsi eccessivamente sui cambi di opinione della stessa Truss, come molti sui detrattori stanno facendo: da anti Brexit a falco pro Brexit, da antimonarchica a leader dei conservatori; ma chi in politica non ha mai cambiato idea o strategia, scagli pure la prima pietra. 
Energia, salute ed economia sono le priorità indicate da Truss nel suo discorso di insediamento, dopo aver ricevuto l’incarico dalla regina Elisabetta II. Le parole, come spesso accade in queste occasioni, sono tanto evocative quanto poco precise; tuttavia, se l’individuazione delle priorità da affrontare appare ragionevole (ma come potrebbe non esserlo?), è la causalità degli eventi raccontati dalla neopremier che appare discutibile. 

Per esempio, è sicuramente vero che il sistema sanitario ha subito enormi pressioni dall’emergenza covid. E questo è vero per tutti i Paesi coinvolti dalla pandemia. Tuttavia, la crisi del National health service era cominciata ben prima, tra la fine degli anni ’90 e il primo decennio del nuovo millennio. Sempre meno fondi pubblici avevano portato alla privatizzazione o allo sviluppo in partnership pubblico-private di ospedali e cliniche; il personale, soprattutto infermieristico, era insufficiente e il sistema è riuscito a sopravvivere solo grazie a forti quote di immigrazione. Che il settore fosse in crisi si sapeva quindi da tempo: e una buona dose di questa crisi era dovuta a politiche eccessivamente liberiste, più o meno ispirate proprio dalla stessa Thatcher. E la Brexit, con tutte le difficoltà create per le nuove immigrazioni, non ha certo migliorato le cose.
Una certa confusione riguarda anche le origini della crisi energetica.

Quando si osserva l’andamento dei prezzi delle materie prime energetiche, si nota un aumento già a partire dallo scorso autunno, cioè mesi prima dell’inizio del conflitto in Ucraina. Quest’ultimo non ha fatto altro che esacerbare una tendenza già in atto. La differenza principale è sulla natura dell’aumento dei prezzi: inizialmente aveva carattere squisitamente economico (aumento della domanda energetica), dall’inizio del conflitto (e soprattutto dall’inizio delle sanzioni inflitte alla Russia) ha carattere soprattutto politico (diminuzione dell’offerta come ritorsione economica). 

Difficilmente, quindi, la questione energetica si potrà risolvere mettendo più soldi nelle tasche di cittadini e imprese. Che, ovviamente, resta una ricetta auspicabile per dare sollievo alle famiglie e agli operatori economici. Ma non è certo risolutiva: e la mancanza di un piano strategico di approvvigionamento alternativo, al di là come al di qua della Manica, appare davvero sconcertante. Bisogna infine anche capire da dove dovrebbero arrivare tutti questi fondi. Uno dei cavalli di battaglia della Truss è stato infatti il taglio delle imposte, il che significa diminuzione delle entrate. 
Le nuove (ma anche le vecchie) spese dovrebbero essere finanziate soprattutto attraverso la leva del debito pubblico, oggi già superiore al 100% del prodotto interno lordo (l’ottavo tra tutti i Paesi europei). E lo stesso deficit, che ogni anno alimenta il debito, è già, all’incirca, del 3%. Di nuovo: non è che tagliare le imposte sia una cattiva idea in generale: ma difficilmente aumento della spesa e taglio delle entrate possono coesistere a lungo. A meno, appunto, di non votarsi all’utilizzo del debito pubblico. Cioè alle ricette di Keynes, non certo un campione del partito conservatore. Peraltro, il Regno unito e il mondo di Keynes erano ben diversi da quelli di oggi; e, in fin dei conti, anche quelli di Margareth Thatcher. 

Perché dunque le ricette che potevano funzionare negli anni ’80 del secolo scorso dovrebbero essere ancora attuali ed efficaci? Per esempio: quanto costerà indebitarsi per il Regno Unito in un contesto di progressivo isolamento post Brexit? Quanta ulteriore inflazione arriverà da eventuali acquisti di debito da parte della Banca d’Inghilterra? Che impatto avrà su tutto ciò l’eventuale secessione della Scozia, nel 2023? «Portare il Regno unito fuori dalla tempesta» è un’immagine efficace. Ma nasconde anche un’evidente negazione: questa tempesta, resa perfetta da covid e guerra in Ucraina, è stata pervicacemente cercata proprio dall’ossessione isolazionista e antieuropea del partito conservatore. Far finta di nulla non farà che prolungare la navigazione della flotta di sua Maestà in acque pericolose.

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