Mario Ajello
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Covid, dai test ai vaccini: le promesse mancate e la sfiducia nelle istituzioni

di Mario Ajello
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Giovedì 8 Ottobre 2020, 00:00

Il benessere delle nazioni dipende dalla qualità delle istituzioni. E allora c’è da chiedersi se quelle italiane, a livello centrale e regionale, stiano lavorando nell’interesse della salute dei cittadini. Ebbene, non sembra che lo stiano facendo. Sono passati sette mesi dall’inizio dell’emergenza Covid, e dal tempo di quella prima ondata si sa che ce ne sarebbe stata un’altra, puntualmente verificatasi. Insomma c’era tutto il tempo per arrivare a questa nuova fase preparati e non disorganizzati, con le idee chiare e con le misure da mettere in campo ben definite e non con il caos, con l’imperizia e con la grave minimizzazione dell’allarme sociale e sanitario che trasuda dal modo in cui lo si sta gestendo e sgovernando.

La pandemia corre e calpesta senza fermarsi le sabbie mobili della disorganizzazione del sistema sanitario.

Il caso Lazio racconta l’odissea delle file disumane nei drive in per fare i tamponi e tutti gli altri disservizi che rendono impossibile la vita dei cittadini al tempo dell’emergenza di ritorno. Ed è sotto gli occhi di tutti, specialmente delle persone più anziane e più deboli che cercano profilassi mancanti (e comunque l’età media dei casi di Covid è scesa a 41 anni), la cattiva qualità delle risposte a una situazione sanitaria che forse si pensava risolvibile tramite la consueta terapia da vecchia Italia: quella dello stellone nazionale che ci protegge e speriamo che me la cavo. 

E invece, è tutto più complicato e non averlo previsto è il segno di un deficit delle classi dirigenti - e in questo il Lazio sembra diventata l’avanguardia della retroguardia - nel loro dovere di dirigere. Dovevano e potevano essere fatte, in questi mesi di attesa rivelatasi inerte, alcune cose ovvie e che parevano scontate. Una vera diffusione capillare delle mascherine - Giuseppe Conte, 4 settembre: «In arrivo 11 milioni di mascherine per studenti e personale scolastico» - e invece queste protezioni sanitarie già non si sono rivelate sufficienti e mancano qui e là negli istituti didattici italiani. Creando panico nelle famiglie. L’altra promessa altisonante è stata quella dei vaccini anti-influenzali: i 17 milioni di dosi acquistate dal governo, se non fosse che non solo non bastano ma neppure si trovano in farmacia. Rendendo ancora più penosa la vita quotidiana di chi deve ricorrere a qualsiasi diavoleria per trovarne una o non gli resta che rassegnarsi a un’attesa chissà quanto lunga, al vuoto dell’offerta in farmacia, alla totale mancanza d’informazione da parte dei medici di base a loro volta costretti a navigare nelle nebbie, sotto il doppio morso della febbre stagionale che s’intreccia con il Covid e si salvi chi può. Se il benessere delle nazioni dipende dalla qualità delle istituzioni, le nostre si stanno rivelando non all’altezza. Visto che, oltretutto, sono state ordinate troppe dosi anti-influenzali senza calcolare che manca un altrettanto nutrito personale sanitario autorizzato a iniettarle e allora ci si appella ai farmacisti: le iniezioni fatele voi. Ma loro non sono abilitati a farle. Chiamasi, tutto ciò, non rispetto delle paure dei cittadini e dei loro diritti e dei loro bisogni. Come quello, nel caso, di farsi il tampone. Il sistema pubblico non è in grado, senza infliggere la via crucis, di garantire il servizio come dovrebbe e le strutture private, che sarebbero attrezzate a svolgere questa funzione, in larga parte non sono autorizzate a compierla. Il ministro Speranza aveva parlato di «sacrifici indispensabili dei cittadini per battere il virus». Ma i sacrifici, che gli italiani fin dall’inizio hanno mostrato di sapere e di voler fare, con una senso di responsabilità riconosciutoci da tutti, non dovevano essere questi. Si trattava di portare la mascherina, ora anche all’aperto, ma le mascherine devono esserci e le mascherine non sono la soluzione di tutto. Di evitare assembramenti ma servono più controlli, e non ci sono, nelle zone della movida. Di limitare le proprie abitudini di vita in cambio però di una efficienza assoluta del sistema sanitario nazionale e regionale e di una protezione totale da parte delle istituzioni secondo un patto fiduciario ben preciso: io faccio il cittadino modello ma anche tu devi fare lo Stato modello.

E invece, la collettività sta mantenendo il patto e la politica lo sta disattendendo. Davanti all’epidemia di ritorno, si fanno per lo più riunioni. E l’idea che debba essere consultato di continuo e per qualsiasi cosa ciascun presidente di Regione - a proposito: smettiamola di chiamarli governatori, perché non sono tali e l’Italia non è una Repubblica federale - è sbagliata. La legge dice chiaramente che la linea di comando è questa: decide il ministero della Salute. Ma il ministero e il governo di cui è parte non sembrano avere la capacità d’azione e la lucidità pragmatica d’intervento che sono a loro richieste. E pensare che il Covid atto primo aveva prodotto un aumento della fiducia degli italiani nello Stato. Si era creata durante il lockdown un’inedita solidarietà verso le istituzioni. Ma adesso si sta vanificando tutto. Occorre stare molto attenti a che non s’inneschi nei cittadini, per effetto dell’inefficienza, della confusione e delle mancate promesse, il sentimento che faceva dire a Lucien Leuwen, protagonista dell’omonimo e secondo grande romanzo di Stendhal: «Ah, quella miscela di ipocrisia e di menzogna che viene chiamata governo rappresentativo!».

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