Giuseppe Vegas
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Rincorsa al voto/Le scelte della politica e l’interesse degli elettori

di Giuseppe Vegas
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Sabato 16 Settembre 2023, 23:39 - Ultimo aggiornamento: 17 Settembre, 22:07

Sarà capitato anche a voi. Un amico chiede un prestito di 100 euro. Glieli dai e ti ringrazia. Dopo un po’ te ne chiede 500. Lo aiuti ancora e ti ringrazia di nuovo. La terza volta ne chiede 2.000. Non li hai e glieli neghi. Anziché ringraziarti per quello che ha avuto, diventerà tuo nemico.


La politica non è differente. Una comune esigenza viene evidenziata da una categoria di portatori di interessi. Il politico la ritiene ragionevole, la rappresenta nelle sedi istituzionali e ottiene il risultato. Anche la seconda richiesta viene esaudita. Ma la terza è francamente troppo. In questo caso però il politico, a differenza della persona comune, cerca di fare ciò che gli si chiede. Anche se è irragionevole. Per un semplice motivo. Perché, mentre ciò che spinge ognuno di noi a fare un prestito è il desiderio di ottenere come ritorno la gratitudine del nostro amico, il politico desidera solo ottenere in cambio voti. Che d’altronde rappresentano lo strumento indispensabile per continuare a poter esercitare il proprio potere per far fronte ai problemi che, giorno dopo giorno, si vanno presentando.
Dunque il nostro rappresentante, sia esso in parlamento, alla regione o nel comune, di fronte al dilemma tra cercare di soddisfare la richiesta dell’elettore, anche quando è l’ennesima o è assurda, e non farlo, tendenzialmente opterà sempre per la prima strada.

Il che generalmente provoca un problema e produce una conseguenza.
Il problema discende dal fatto che le richieste, per essere soddisfatte, in genere comportano una spesa o una modifica delle regole vigenti. Se costano, occorre trovare i soldi. Opera non certo facile, soprattutto negli attuali difficili frangenti. Ma siccome la stella polare dell’intervento promesso o estorto sono i voti, si cerca di fare il possibile. Qualche volta anche l’impossibile, forzando o eludendo le rigide regole previste dalla legge, a partire dallo stranoto articolo 81 della costituzione, per evitare di ridurre i conti pubblici ad un colabrodo. In fondo, è questa la madre dei deficit di bilancio e del debito pubblico. Se invece la richiesta è quella di modificare una regola generale o quella specifica di un comparto, allora lisciare il pelo del soggetto o della categoria che ne invoca il cambiamento comporterà la conseguenza di scontentare tutti coloro che potranno subire un danno dalla modifica. Se, ad esempio, consento la creazione di un monopolio, magari nel settore dei trasporti, agevolerò il monopolista, ma danneggerò tutti i viaggiatori, che dovranno pagare di più per ottenere un servizio peggiore.
Ovviamente, il politico conosce bene questi effetti delle sue azioni, ma non se ne cura più di tanto. Sia perché pensa che aumentare il debito finirà per gravare sulle generazioni future, e quindi è un problema che non lo riguarda oggi. Sia perché stima che la massa indistinta dei contribuenti o dei consumatori non abbia la forza di opporsi o reagire nei confronti di danni che, uno per uno possono anche considerarsi marginali, ma che, messi insieme, comportano la conseguenza di produrre, insieme alla compressione dei diritti, un degrado visibile delle condizioni economiche e del livello di libertà complessiva della società.
La conseguenza di questa attitudine è che, per soddisfare lo spirito di conservazione che muove ogni rappresentante del popolo – come l’idea fissa del galeotto è quella di evadere, per il politico è essere rieletto – a volte si commettono dei veri propri delitti.

Contro le leggi dell’economia, la buona amministrazione ed principi generali del diritto, ma soprattutto contro l’intelligenza. Gli esempi sono talmente abbondanti, che ciascuno può far riferimento a ciò che preferisce.


Ma c’è anche una conseguenza non desiderata, che riguarda proprio l’obiettivo di questo complesso meccanismo di scelte pubbliche: il voto. Infatti non è affatto detto che il portatore di interessi, il cosiddetto lobbista, nel momento in cui si trasforma in elettore voti per chi lo ha agevolato, magari con sprezzo del pericolo. Potrà anche costituire un elemento oggetto di considerazione, ma il voto dipende da un insieme di fattori, a volte anche emotivi, il cui peso reciproco non sempre porta al risultato sperato. In sostanza la complessità delle società moderne è andata gradualmente producendo, proprio per la difficoltà di comprendere le reciproche interrelazioni tra i molteplici interessi confliggenti, una accresciuta libertà di voto. In sostanza, si può anche ottenere un favore, ma non c’è l’obbligo di riconoscenza.


Ma allora, dato che il fenomeno è noto, ci si chiede perché la politica prosegua sulla stessa strada. La risposta è banale. Perché si è sempre fatto così. E perché c’è sempre una campagna elettorale per qualche prossima elezione che induce a guardare all’oggi e a far finta che il futuro non arrivi mai. Perché, se non c’è l’obbligo di riconoscenza, non c’è neppure quello della memoria dei torti subiti. E, in fondo, perché all’elettore piace ricordare, ma solo per pochissimo tempo, di avere ottenuto un qualche vantaggio a danno degli altri. Ma prima o poi si rende conto di quanti vantaggi hanno ottenuto gli altri a suo danno. D’altronde, come ci ricordava De Gasperi, c’è pur una differenza tra politici e statisti.

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