Ferdinando Adornato
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Il caso Meloni/ Il complesso della “D” che agita la sinistra

di Ferdinando Adornato
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Martedì 6 Settembre 2022, 00:40

Pesa di più la D di donna o la D di destra? Per decenni la cultura femminista ha insegnato che la conquista da parte delle donne di ruoli di primo piano, in ogni ambito della vita collettiva, costituiva un valore universale di fronte al quale le diversità di opinione dovevano essere considerate certamente importanti, ma in ogni caso secondarie. Perché la vera “cultura della differenza” stava tutta nella D di donna.

Ora, di fronte all’evocata prospettiva di una premiership di Giorgia Meloni, e proprio mentre la Gran Bretagna nomina premier Liz Truss, parte della sinistra politica, del giornalismo e dello spettacolo, sembra aver cambiato idea: la D di destra pesa molto di più. È un macigno insuperabile. E così gli attacchi preventivi contro la leader di Fratelli d’Italia si moltiplicano senza alcun riguardo di genere. Quasi che (qualcuno l’ha anche detto) il suo successo dipendesse dal fatto che si comporta “come un uomo”. A ben vedere questo tipo di critica è un ritornello che, da sempre, viene cantato contro tutte le donne che raggiungono il potere, da Golda Meir a Margaret Thatcher, da Theresa May ad Angela Merkel. 

Destino cui probabilmente non potrà sottrarsi neanche la Truss, già del resto accompagnata da una fama di “falco”. Lady di ferro o Lady di mediazione che fossero, in fondo, tutte sono state considerate, da una parte della sinistra (e non solo) come “uomini mascherati”. Ribadendo, a questo modo, il vetusto pregiudizio che il potere, per la sua intrinseca natura, sia adatto a essere vestito solo da panni maschili. Del resto, l’aveva già profetizzato Madame de Stael: «L’intero ordine sociale si schiera contro una donna che aspiri a raggiungere la reputazione di un uomo». Per questo motivo, a prescindere dai programmi di governo della Meloni, per i quali nel caso verrà giudicata più avanti, non si può negare che se una donna raggiungesse per la prima volta Palazzo Chigi, sarebbe una svolta storica per l’Italia e per tutte le donne.

Piuttosto c’è un’altra domanda da porsi: perché le principali leader che hanno assunto nel mondo ruoli di potere importanti, con l’unica eccezione di Hillary Clinton, appartenevano o appartengono all’universo della destra? Su questo, senza infingimenti e ipocrisie, dovrebbe riflettere la gauche italiana di fronte al “caso Giorgia Meloni”. Si tratta di una questione assai complessa che non si può certo risolvere con poche battute. Si può però, intanto, avanzare un’ipotesi. La cultura della sinistra è governata dal mito della rappresentanza. Perciò il suo universo è popolato dal tema delle quote, dalle garanzie necessarie per un accesso paritario nelle istituzioni e nei luoghi di lavoro. 
Obiettivi sacrosanti ma parziali: in qualche modo, infatti, si può dire che alla fine la sinistra si “accontenti” di esibire, nella politica e nella società, una consistente visibilità femminile.

La cultura della destra, invece, è governata dal mito della decisione. Il che implica che, se una donna si fa strada in politica o in un’impresa, impara che il suo obiettivo ultimo è soltanto la conquista del potere di decidere. Come premier o come amministratore delegato che sia. 

Alle donne di destra, insomma, non basta partecipare. Perciò, forse, a livello della rappresentanza il loro numero potrà essere inferiore a quello delle colleghe di sinistra ma, una volta che riescano a “sfondare”, diventano più facilmente protagoniste della gara per il potere. Commentava Margaret Thatcher: «Non appena si concede alla donna l’eguaglianza con l’uomo, questa si dimostra superiore a lui». Forse è proprio tale consapevolezza di “essere superiori” che ancora manca all’universo femminile di sinistra e il rigetto nei confronti della Meloni può perfino essere letto come l’esibizione di un malcelato complesso d’inferiorità nei confronti di una donna che “ce l’ha fatta”.
Si guardi, da questo punto di vista, ai rapporti che Meloni ha intrattenuto e intrattiene con Berlusconi e Salvini. Nessuna protervia ma neppure alcuna condiscendenza. La donna Meloni vuol continuare a dimostrare di essere superiore e dunque di saper “tenere a bada” due maschi-alfa come il Cavaliere e il Capitano. Fino a ribadire in modo plateale, a Cernobbio, davanti a un recalcitrante segretario della Lega, la sua “decisione” di non mettere in discussione le sanzioni alla Russia e le nostre relazioni euro-atlantiche. 

Non so se Meloni potrà diventare premier e finire per somigliare a una sorta di Thatcher italiana. C’è da dubitarne, data l’estrema friabilità delle coalizioni politiche e la fragilità dell’intero sistema. Ma, ai fini del nostro ragionamento, è assai significativo che una donna ci provi, sfidando pregiudizi e demonizzazioni. Come ha ricordato di recente proprio Hillary Clinton, la Meloni va giudicata solo per quel che ha fatto o che farà non per opinabili preconcetti ideologici. Perciò, per giudicare le sue ambizioni, bisogna tenere a mente le parole di un’altra grande democratica americana, Eleanor Roosevelt: «La donna è come una bustina di tè, non si può dire quanto è forte fino a che non la si mette nell’acqua bollente».

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