Miti sfatati/ C’è un’Italia che preferisce la mascherina

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Mercoledì 4 Maggio 2022, 00:02

I soliti italiani che non rispettano le leggi? Macché: le rispettiamo pure quando le leggi non ci sono più. La fine dell’obbligo della mascherina doveva essere la liberazione da un giogo, la celebrazione dell’indipendenza da un vincolo, da una seccatura e da una «museruola» (così senza un briciolo di meritatissima riconoscenza l’hanno chiamata i No Vax e gli scriteriati) e s’è rivelata invece il segno di quanto la pandemia ci ha in parte cambiato in meglio. Rendendoci più attenti a noi stessi e agli altri, resistendo in un’abitudine e in una norma di sicurezza - non costa niente tenersi, e usandola in caso di bisogno, una chirurgica ma anche una Ffp2 - che non essendo richiesta dall’alto è diventata un atto di volontarismo civico dal basso. Una forma di spontaneismo della responsabilità e un mezzo di partecipazione attiva, e non indotta, al buon governo della nostra salute. 

La resilienza della mascherina si spiega così: meglio tenerla perché non si sa mai, non la tolgo perché il virus può tornare (state vedendo che cosa accade in Cina dove si ripete il lockdown?), ci sono affezionato/a non perché è diventata una coperta di Linus e perché noi italiani siamo un popolo abitudinario e ormai assuefatto ma perché gli scienziati continuano a dirci di stare attenti e io della scienza tendo a fidarmi. 

La mascherina che resta alta al di là delle leggi, che pure dovevano dare un segno di ritorno alla normalità in presenza di contagi in forte discesa, è anche la smentita quotidiana (chissà quanto durerà? Speriamo non poco o comunque quanto serve) di tutte le panzane dei presunti filosofi alternativi e dei populisti da talk show o da pseudo-pensatoio accademico, secondo cui ha dominato in questi due anni in Italia una “dittatura sanitaria”, terribile e oppressiva, un totalitarismo da Stato Etico (ma sanno, questi sapientoni, che cosa significa?), contro cui gli italiani non vedevano l’ora di ribellarsi strappando dal viso la “museruola”.

Niente di tutto questo sta accadendo. 

E capita di entrare nei luoghi pubblici, dove non esiste più l’obbligo, e vedere gente in mascherina che dice: «Ci tengo alla nuova libertà dal virus, e per garantirla sto bene attento a che il virus non torni». Poi ci si cala la mascherina, ci si beve il cappuccino e la si indossa di nuovo. Non più per (giusta) imposizione ma per (libera) scelta. Il meglio averla che non averla è il mood di tanti. E la mascherina appesa al collo, pronta ad essere alzata al momento del bisogno, è una componente del look che non infastidisce chi la porta e chi la osserva. Oltrettuto, ci sono i telefonini che fanno il riconoscimento facciale e quindi no problem.
L’italiano - diceva Ugo Tognazzi - è un «pollo ruspante, che vive disordinatamente e senza criterio». Ebbene questo cliché, pur senza essere diventati o voler diventare polli d’allevamento, sembra superato. E la riprova della svolta sta in questo pezzo di stoffa che in molti abbiamo deciso di conservare, pur senza farne un feticcio o una fissazione e modulandolo secondo necessità. Se l’Italia è la patria delle piccole sovversioni quotidiane (al semaforo rosso non si fermano tutti), questa della mascherina è una sovversione a fin di bene, una virtuosità auto-prodotta e non inflitta. Che fa ben sperare.

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