Paolo Pombeni
Paolo Pombeni

Il rigore nei conti/Gli obiettivi nascosti della legge di Bilancio

di Paolo Pombeni
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Giovedì 2 Novembre 2023, 00:24

Con il varo da parte del Consiglio dei ministri del disegno di legge sul bilancio 2024 si entra nel vivo della progettazione di un nuovo anno ricco di incognite. Si è partiti da una situazione certo complicata (rientro dallo choc pandemico, disastri naturali, inflazione, nonché difficili crisi internazionali) e ora si affronta una fase che non ci si azzarda più a descrivere a priori come positiva: non sappiamo come evolveranno le situazioni di guerra, il bilancio dello stato non è in una condizione brillante, è un’incognita il tipo di Europa con la quale dovremo confrontarci dopo l’esito delle urne del prossimo giugno, l’avanzamento dei lavori finanziati dal Pnrr non è scevro da problemi.

Poi ci sono le nostre debolezze strutturali: le diseguaglianze territoriali, una situazione sociale tutt’altro che pacificata, il sistema della pubblica amministrazione, centrale e periferica, che non è proprio un esempio di alta efficienza. Ci sono anche buone notizie: l’Istat ha registrato un calo significativo dell’inflazione, il nostro export va bene comparato a quello di alcuni significativi concorrenti europei.


Se non si tiene conto di questo scenario, pur così rozzamente richiamato, non si può valutare realisticamente dal punto di vista politico quel che il governo e la sua maggioranza hanno messo in campo. I commenti si appuntano prevalentemente su due aspetti: da un lato la prudenza, per non dire l’austerità con cui è stato scritto il bilancio (merito di Giorgetti e dei suoi tecnici), dal lato opposto la valutazione delle concessioni che si sono fatte alle richieste delle varie componenti della coalizione.


Sul primo aspetto, a parte i critici per partito preso, tutti riconoscono che l’esecutivo ha tenuto d’occhio la difesa della credibilità del nostro sistema di finanza pubblica, cosa obbligata nel momento in cui si deve ricorrere ai mercati (interni e internazionali) per i prestiti che sostengano il debito che non si riesce a comprimere. Il costo è stato quello di scontentare molti, il che non è mai un’impresa facile in un contesto molto frammentato in partiti, sotto-partiti e corporazioni come è il nostro. Quando devi far aumentare un po’ di entrate e contenere un po’ di spese di piedi ne pesti inevitabilmente molti.
Questo spiega la necessità di concedere qualcosa alle esigenze dei partiti di maggioranza, che, non dimentichiamolo, devono pur avere qualche vessillo da esibire ai rispettivi elettorati. Lo si è fatto più con interventi simbolici che con misure sostanziali e si vedrà se questo aiuta nella raccolta del consenso o crea un effetto boomerang per la delusione di cittadini che non accettano di avere meno di quel che pensavano fosse stato loro promesso.


Pretendere che un governo e la sua maggioranza agiscano senza tenere conto del ritorno elettorale delle loro politiche è semplicemente fuori dal mondo: non conosciamo esempi di questo tipo, tranne i pochi in cui le maggioranze si sono auto suicidate. Possiamo però notare un aspetto che abbiamo trovato in qualche modo curioso: la comunicazione dei partiti di maggioranza ha puntato più a mettere in risalto le concessioni marginali ottenute che a rivendicare l’aspetto forte delle scelte fatte, cioè la difesa per quanto possibile delle condizioni di vita (a partire da quelle di reddito) delle classi meno abbienti e dello strato più debole del ceto medio.
Per la verità sia esponenti del governo, a cominciare dalla premier, sia qualche personaggio dei partiti di maggioranza ogni tanto lo ricordano, ma ci pare senza quell’enfasi e quell’orgoglio che sarebbe giustificato da parte loro, soprattutto mentre le opposizioni, che ovviamente fanno il loro mestiere, insistono proprio nella denuncia di un immiserimento generale del quadro sociale.
Ci sembrerebbe invece che proprio questo approccio sia ciò che maggiormente dà il senso di un impegno verso una generalità di cittadini, anziché della difesa di qualche settore specifico. È abbastanza significativo che nella maggioranza sia il partito della premier a farsi maggiormente carico di questo approccio e non è un caso che sia quello che raccoglie percentualmente il più ampio consenso. Naturalmente si dovrà verificare se in termini di successo elettorale questa politica paga. 
Ai tempi di Renzi si ritenne che i famosi 80 euro elargiti alle fasce di lavoratori a più basso reddito spiegassero il famoso 40% del suo partito alle europee del 2014.

In questa fase non sapremmo se altrettanto succederà, perché l’astensionismo continua ad essere in crescita e le elezioni per il parlamento di Bruxelles non sono di quelle che muovono gli entusiasmi delle masse (e i ceti più in difficoltà sembrano essere tra quelli che più disertano le urne).


Tuttavia rimane che con tanto parlare che si fa, più che giustamente e fondatamente, della necessità di intervenire in qualche modo sull’allargarsi della forbice delle disuguaglianze va valutato positivamente un intervento per aiutare pur nelle ristrettezze di bilancio attuali i redditi di una fascia di popolazione che è molto ampia e che è la base che deve reggere la nostra piramide sociale.
Si può sempre fare di più e meglio, a patto di trovare le risorse necessarie, ma a questa ricerca devono cooperare tutti, opposizioni incluse, anzi in primis, perché per farlo non c’è alternativa a tagliare o almeno ridurre certi privilegi e certi ambiti di spesa abbastanza clientelari. Sacrifici che non sono popolari e che vengono sopportati solo se al riguardo c’è un ampio consenso nei gruppi dirigenti del paese: in quelli politici, ma non solo in quelli.

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