È importante e significativa l’attenzione che Parigi sta sempre più riservando al nostro Paese. L’intervista al ministro francese dell’Economia Bruno Le Maire, pubblicata giovedì dal nostro giornale, è solo l’ultimo di una serie di segnali provenienti d’Oltralpe del rinnovato interesse nei confronti dell’Italia. Si tratta di una convergenza rispetto a temi e di credibilità degli interlocutori proprio mentre per l’Unione Europea si apre una fase di incertezza legata non solo alla pandemia, ma anche alla Brexit e all’ormai imminente avvicendamento alla Cancelleria di Berlino.
Conviene forse partire dalla coda per ribadire un punto molto semplice: il ritiro di Angela Merkel dalla scena politica non significa evidentemente il venir meno del peso specifico della Germania in Europa. E neppure implica un’attenuazione della sua leadership riluttante. Ma è la chiarezza di indirizzo, la strategia e il concreto esercizio del ruolo egemonico – per quanto “costituzionalizzato” – della Germania che rimarrà sospeso, almeno fino a quando non si capirà chi davvero succederà a Frau Angela e come saprà muoversi.
Oltretutto, proprio considerando il percorso compiuto dalla signora Merkel, non è per nulla scontato che chi arrivi alla Cancelleria sia immediatamente capace di rivestirne il ruolo.
E di farlo con una visione in grado di conciliare gli interessi nazionali tedeschi e quelli dell’Unione e dei suoi principali Stati membri; né che sia in grado di mostrare la stessa maestria in tutti i diversi dossier.
In concreto, questo potrebbe generare un irrigidimento delle posizioni tedesche soprattutto sulla questione del patto di Stabilità e su quello del possibile surriscaldamento dei tassi di interesse. In un momento in cui tutte le economie europee si troveranno a dover gestire una straordinaria mole di debiti, le conseguenze di una stretta prematura nei confronti di economie ancora – a essere ottimisti – “convalescenti” è un rischio che rimanda all’incubo della crisi greca e a quel vertice franco-tedesco di Deauville che ne segnò la propagazione e l’inasprimento.
È perciò fondamentale che i Paesi che all’interno dell’area euro condividono le medesime preoccupazioni si muovano in maniera coordinata, credibile e anticipata, così da rassicurare la Germania e portarla a mantenere un atteggiamento più flessibile e riformatore. Flessibile rispetto alle pressioni per rientrare troppo tempestivamente alla conduzione ordinaria; riformatore rispetto alla necessità di dotare l’area euro di una politica economica che affianchi l’azione della Bce.
Proprio in queste materie Mario Draghi è una carta da spendere e ha delle carte da giocare.
Aggiungo solo che anche da Washington ci si aspetta un’Europa capace di fare da volano alla ripresa economica, così come di non rappresentare sistematicamente una zavorra nelle fasi di crisi, e più libera delle sue ossessioni deflazioniste. Concorrere a fare nuovamente dell’economia occidentale un’area strutturalmente espansiva è ciò che gli Usa chiedono a Bruxelles. Perché l’assalto cinese all’egemonia non è contendibile solo facendo la voce grossa e contando sulla superiorità militare. Filosoficamente, tanto Macron quanto Draghi rassicurano Biden sulla loro identità atlantica. Ma è necessario che si diano (e diano alla Ue) gli strumenti per operare un rilancio economico che sia concepito come tessera essenziale di un più complessivo puzzle strategico.
Tanto più dopo la Brexit, con un Regno Unito che – soprattutto a causa della sua scelta di puntare sull’ex impero – è sempre più concentrato sul Pacifico e sarà molto più propenso a cercare opportunità (e non solo un modus vivendi) con Pechino. Proprio perché la sfida per la leadership globale si giocherà nel Pacifico, rinforzare economicamente e politicamente Transatlantia è fondamentale: e all’Unione spetta occuparsi del pilastro europeo, evidentemente.