Alessandro Campi
Alessandro Campi

Opposte fazioni/Gli interessi del Paese e la distanza della politica

di Alessandro Campi
6 Minuti di Lettura
Lunedì 27 Novembre 2023, 00:22 - Ultimo aggiornamento: 22:11

Gli italiani, secondo uno stereotipo che evidentemente non è tale, sono sentimentali, capaci di grandi slanci passionali e un tantino melodrammatici. Il che significa che riescono a manifestarsi come tali, cioè come popolo unito e solidale, solo nei momenti di dolore collettivo o in occasione di qualche trauma emotivo. Oppure, ma questo è scontato e banale, nei momenti allegri di una vittoria sportiva o di qualche ricorrenza rituale.


Per gli abitanti della Penisola, segnati da uno spirito settario che affonda nella storia, l’unione virtuosa delle parti non è dunque una forma della vita sociale, un tratto qualificante della loro cultura pubblica, ovvero un obiettivo politico da perseguire anche solo strumentalmente a difesa di interessi generali quando le contingenze lo richiedono, ma una condizione eccezionale o estrema, che si realizza soprattutto nelle fasi di turbamento e smarrimento, quando si è presi dalla paura, dal cordoglio, dallo struggimento o dall’ansia per il futuro. 
E’ accaduto nel recente passato. Quando si sono riuniti in silenzio dinnanzi all’Altare della Patria alla notizia dei morti di Nassiryia. Quando hanno sventolato il tricolore e cantato tutti insieme a squarciagola dai balconi durante la pandemia. Quando si sono commossi e stretti in un ideale abbraccio alle famiglie dopo aver appreso degli orrori di Caivano.

 
È accaduto anche stavolta, come reazione spontanea di milioni di cittadini al brutale assassinio di Giulia Cecchettin: l’ennesima vittima, questa volta giovanissima come il suo carnefice, di un femminicidio. Ne è nata un’onda di emozione che ha attraversato il Paese annullando differenze e polemiche. Destra e sinistra in Parlamento hanno prontamente votato all’unanimità una legge anti-violenza. I leader di tutti i partiti hanno invocato un cambio culturale e sociale capace di porre fine a qualunque forma di sopraffazione e discriminazione nei confronti delle donne. Ma la reazione è stata compatta anche a livello popolare, come si è visto con le manifestazioni organizzate in numerose città italiane sabato scorso.


Manifestazioni molto partecipate, politicamente trasversali, che hanno visto sfilare insieme tantissime donne, delle diverse generazioni, ma anche molti uomini e ragazzi: tutti uniti dall’idea che nelle relazioni affettive, da parte di questi ultimi come generalmente avviene, non sia più ammissibile alcun tipo di violenza, psicologica o fisica, o di sopruso.


In verità, le organizzatrici transfemministe degli appuntamenti più importanti, quelli di Roma e Messina, hanno provato a rovinare questo clima di concordia su un tema tanto delicato e a buttarla, come si dice, in politica strumentale. Lo hanno fatto affiancando, nei loro documenti e proclami, lotta al patriarcato universale e denuncia del colonialismo israeliano, guerra al maschio, critiche al governo Meloni e sostegno senza condizioni alla causa palestinese (sorvolando cinicamente sull’uso dello stupro come arma di guerra da parte di Hamas). Ma, per fortuna, tanta ottusità ideologica non è bastata a rovinare la massiccia e crescente mobilitazione dal basso cui abbiamo assistito, sostenuta da un sentimento autentico di indignazione per il perpetuarsi, divenuto evidentemente intollerabile, di episodi di sopraffazione e maltrattamenti, sino all’estremo dell’omicidio, a danno di donne colpevoli solo di essere tali.


Insomma, sull’onda della commozione collettiva, dinnanzi a eventi o episodi che toccano corde emotive profonde e creano coinvolgimento di massa, gli italiani sono capaci di grandi slanci unitari e di efficaci azioni comuni. Sono capaci di condividere valori, battaglie, strumenti e obiettivi.


Cosa accadrebbe, viene dunque da chiedersi, se lo stesso spirito di comunione, la medesima disponibilità a fare fronte andando oltre le divisioni fisiologiche che attraversano qualunque società o sistema politico, li dimostrassero quando si tratta di far valere interessi e istanze potenzialmente vantaggiosi per l’intera comunità nazionale? Prendiamo, per fare un esempio solo all’apparenza prosaico, il Pnrr e il vasto programma di investimenti pubblici e riforme strutturali che esso prevede nel giro di pochi. Si tratta, come spesso è stato spiegato, di una grande e unica occasione per l’Italia. Il cui rilancio dal punto di vista economico e sociale, dopo quasi due decenni di stagnazione o bassa crescita, dipenderà in gran parte proprio dal corretto utilizzo delle risorse ottenute dall’Europa.
Parliamo dunque di un obiettivo o interesse comune.

Nonostante ciò sugli interventi previsti dal Pnrr e sui tempi della loro attuazione per mesi maggioranza e opposizione, soprattutto dacché è nato il governo guidato da Giorgia Meloni, si sono scontrate duramente e in modo pregiudiziale, come se la piena realizzazione o l’eventuale fallimento del Piano possa essere ascritto come merito o colpa a questa o quella parte politica e non riguardi invece, in entrambi i casi, l’Italia nel suo complesso.

Se fallisce la destra di governo, guadagna la sinistra d’opposizione o perdono gli italiani tutti insieme?


Non ci vuole molta memoria per ricordare le diatribe furibonde, politiche e giornalistiche, sulla creazione di una nuova governance del Pnrr giudicata troppo accentrata a Palazzo Chigi, sul versamento o meno della terza rata dei fondi assegnati all’Italia, sulla mancata realizzazione delle riforme previste dal Piano (dalla giustizia alla pubblica amministrazione), sui ritardi nell’esecuzione dei lavori e sui miliardi di euro che si rischiava di perdere a danno soprattutto degli enti locali, sull’opportunità o meno di cambiare i progetti inizialmente concordati con l’Europa o di introdurne di nuovi considerati dal governo in carica maggiormente rispondenti agli obiettivi strategici del Paese tenuto conto di quel che nel frattempo è accaduto nel mondo (dalla pandemia ai conflitti armati ancora in corso). Insomma, nulla pareva andare per il verso giusto. Nei giorni scorsi, dopo che il Pnrr, prima oggetto di tanti scontri, sembrava addirittura quasi sparito dall’attenzione dei media e della politica, abbiamo invece appreso quanto segue. L’Europa ha approvato i sette nuovi obiettivi di riforma presentati dal governo italiano (tra i più importanti quello relativo alla riduzione dei sussidi ambientalmente dannosi) e ha autorizzato spostamenti di risorse da un progetto all’altro e rimodulazioni dei vecchi progetti per oltre 20 miliardi.

In particolare, nuovi progetti sono stati proposti e accettati dalla Commissione Ue per la transizione energetica e digitale, per contrastare il rischio idrogeologico, per l’edilizia scolastica, per gli alloggi degli universitari e per l’occupazione giovanile. È’ stato inoltre sbloccato il pagamento della quarta rata da 16,5 miliardi (ciò significa che a fine anno l’Italia avrà ricevuto 102 miliardi di risorse). Complessivamente, la dotazione del Pnrr italiano è salita a 194 miliardi, cui sono da aggiungere i 30 miliardi del Fondo nazionale complementare. Ne beneficeranno soprattutto imprese e amministrazioni territoriali. E tutto questo grazie a un lavoro negoziale molto delicato tra Roma e Bruxelles durato quattro mesi.


Si tratta di un successo del governo Meloni, che le opposizioni fanno bene a non condividere o a minimizzare, o di una buona notizia per l’Italia? Viene da chiedersi se su una partita strategica e d’interesse nazionale come quella del Pnrr – le cui risorse, ricordiamolo, sono sia sovvenzioni sia prestiti a lungo termine che dovremo restituire come collettività – era proprio necessario scontrarsi per partito preso come nei fatti è accaduto sino ad oggi. Si continuerà così o prima o poi si cambierà registro? Se ci si stringe insieme come italiani intorno a passioni, emozioni e sentimenti, perché non unirsi anche per calcolo, interesse e convenienza, quando farlo può produrre benefici se non per tutti sicuramente per molti? Non si tratta beninteso di annullare le differenze tra le parti, di consociativismo o di confusione delle lingue, ma di razionalità, visione d’insieme, senso della responsabilità e sincero amor di patria. Esattamente ciò che spesso sembra difettare all’attuale ceto politico.

© RIPRODUZIONE RISERVATA