Paolo Balduzzi
​Paolo Balduzzi

Annunci a effetto/ L’emergenza sul clima e le scelte da prendere

di ​Paolo Balduzzi
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Giovedì 17 Agosto 2023, 00:14

Il cambiamento climatico che interessa il nostro pianeta ha la singolare caratteristica di rendere roventi sia le temperature registrate dai termometri sia gli animi delle persone che partecipano al dibattito in materia. Ne è esempio eclatante il fatto che, per alcuni, l’evidenza scientifica a favore del riscaldamento globale sarebbe talmente elevata che non ci dovrebbe essere spazio per opinioni differenti. 


Ammettiamo anche un indicativo al posto del condizionale: è elevata. Tuttavia, i dati sono condizione certo necessaria ma non ancora sufficiente a convincere le persone; in altre parole: il consenso politico e, soprattutto, sociale è influenzato da almeno altri due aspetti, forse più importanti della verità scientifica. Il primo è il nostro rapporto con le future generazioni; il secondo è il metodo utilizzato nel dibattito sul tema.  Per quanto riguarda la prima questione, che si può definire di equità intertemporale, un ragionamento che ognuno di noi può fare è quello sul valore dei danni ambientali per le generazioni future. O, più tecnicamente, sul tasso di sconto utilizzato per confrontare i costi (di oggi) delle azioni contro il riscaldamento globale con le conseguenze (future) di tali azioni (o della loro mancanza). 


Se un euro speso oggi vale infatti sicuramente un euro, tale ovvietà scompare quando si consideri un euro del futuro: quanto varrà, in termini di valore odierno?  Certamente di meno: e la prova è banale. Con il nostro stipendio, uguale a quello di un anno fa, possiamo acquistare ora meno beni: un euro di oggi vale meno di un euro dell’anno scorso. In questo caso, a causa dell’inflazione. Ma quanto di meno varrà? Quando si fanno previsioni sul valore futuro del denaro, si apre il campo alla discrezionalità. La Costituzione, nel suo rinnovato articolo 9, obbliga il legislatore a tutelare l’ambiente «anche nell’interesse delle future generazioni»: ciò è un bene, perché troppo a lungo la politica ha invece ignorato il domani, sia in termini di difesa degli ecosistemi sia in termini di ricorso al debito pubblico.


Tuttavia, l’interesse delle generazioni future non può e non deve cancellare quello per le generazioni presenti. Che senso ha, per esempio, che un piccolo gruppo di nazioni, quasi ininfluente a livello di inquinamento globale, impegni i propri cittadini a rinnovare il parco automobilistico e a ristrutturare le proprie abitazioni, due tra gli investimenti più esosi per una famiglia, quando è evidente che l’impatto sul benessere dei nostri figli sarà marginale?  Che consenso politico e sociale può avere una crociata che promette sicuri salassi presenti e vaghissimi guadagni futuri, non certo quantificabili economicamente e, forse, nemmeno scientificamente? Ciò non significa negare gli effetti dell’uomo sul clima ma solo ritenere controproducenti le azioni messe in atto da una classe politica e burocratica troppo zelante, che invece di rinforzare il consenso su questa battaglia, lo distrugge.

Per quanto riguarda il metodo, il problema è dato dalla qualità del dibattito sul tema. Fortunatamente, vale la pena di sottolinearlo, esistono ancora i giornali: lo scambio di opinioni e riflessioni avvenuto nell’ultimo mese proprio sul “Messaggero” è la prova che l’informazione di qualità è ancora possibile.


Tuttavia, il resto del dibattito è sconfortante. Su entrambi i fronti. C’è infatti una tendenza, anche tra i sostenitori della tesi sul riscaldamento globale, all’annuncio “sensazionalistico”, cioè a produrre prove che invece non lo sono affatto. Se ogni evento meteorologico, più o meno eccezionale, viene presentato come conseguenza del cambiamento climatico, si fa la fine del pastore che, gridando ogni volta “Al lupo, al lupo!”, non otterrà più l’aiuto necessario quando il lupo arriverà davvero. Se il primo caldo estivo o la prima pioggia torrenziale vengono presentati come conseguenza deterministica del cambiamento climatico, basteranno poi una giornata fresca ad agosto o un’abbondante nevicata invernale a farci domandare che fine abbia fatto quel riscaldamento globale. 
Un interrogativo errato, certo, ma totalmente giustificato per un’opinione pubblica bombardata da annunci esagerati, fuorvianti e, in fin dei conti, errati. Cioè, appunto, controproducenti. La battaglia per il clima ha necessità di dati ma anche di consenso: il fine non sempre giustifica i mezzi e l’effetto di certe scelte, in campo politico e in campo informativo, rischia di vanificare ogni sforzo.
 

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