Alessandro Campi
​Alessandro Campi

Oltre i fanatismi/ Cosa c’è all’origine dell’odio antisemita

di ​Alessandro Campi
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Lunedì 20 Novembre 2023, 00:12

L’antisemitismo – si sostiene – è un problema della destra. Un riflesso condizionato ideologico o, se si vuole, una perversione dell’animo dalla quale essa non riesce a guarire, come dimostrerebbero alcuni recenti fatti di cronaca e gli atteggiamenti reticenti o ambigui sul tema dei suoi leader. Gratta il conservatore, che si dichiara tale per rendersi presentabile, e trovi l’estremista che crede nella superiorità della razza ariana, mette in dubbio l’Olocausto e considera gli ebrei degli eterni cospiratori. Anche se non ha più il coraggio, tampoco la convenienza, per confessarlo in pubblico. Quelle svastiche apparse sui muri del ghetto di Roma non sono forse opera dei soliti esponenti di un sottobosco neofascista che non si riesce a bonificare?


Da qui gli inviti, da parte di osservatori e rappresentanti della sinistra, a una rinnovata vigilanza nel nome della Costituzione e dei valori di libertà, specie oggi che sono al governo della nazione forze e partiti che si definiscono di destra democratica ma che in realtà affondano le loro radici ideologiche nell’esperienza della dittatura mussoliniana e, in generale, in una tradizione politica fatta di intolleranza e violenza. Si tratta ovviamente di una grossolana caricatura, espressione al tempo stesso di malafede, ignoranza e superficialità. Ma il fatto che qualcuno consideri plausibile a livello di dibattito pubblico questa rappresentazione della destra (che, per restare alle polemiche di questi giorni, in Tolkien in realtà non apprezza il cattolico antimoderno, l’amico della natura e l’inventore del pacifico popolo degli Hobbit, quanto il narratore di cruente saghe guerriere intrise di mitologie nordiche) è una buona ragione per chiedersi quanto simili semplificazioni siano plausibili e fondate. Stiamo infatti parlando di una questione drammaticamente seria: il ritorno, non solo in Italia, di un sentimento d’avversione nei confronti degli ebrei che va ben oltre la critica – legittima e necessaria anche se spesso utilizzata come copertura strumentale di ben altri convincimenti – allo Stato di Israele e alla sua politica nei confronti dei palestinesi.


Stiamo parlando dell’antisemitismo come espressione di una pseudo-cultura popolare intrisa di complottismo e paranoia, come concezione politica basata sull’idea di un nemico assoluto e oggettivo da eliminare dalla scena, come modello di società che fonda la sua compattezza interna sull’esistenza di un capro espiatorio collettivo, come ritorno nell’immaginario di massa di stereotipi storico-antropologici discriminatori, come linguaggio dell’odio destinato fatalmente a sfociare in violenza fisica.  Così inteso davvero l’antisemitismo è oggi un problema esclusivo e preminente della destra politica, italiana e per estensione europeo-occidentale, o nelle sue diverse e nuovamente virulente espressioni esso presenta scaturigini, fonti e matrici sulle quali si preferisce chiudere gli occhi per convenienza politica, viltà intellettuale e pigrizia mentale? Dal punto di vista storico, come si sa, l’antisemitismo è stato sostenuto da posizioni politico-ideologiche e religiose molto diverse. È esistito, già molto radicato nel Medioevo, un antigiudaismo religioso cristiano che a partire dalla seconda metà dell’Ottocento si è sommato a un antiebraismo a sfondo biologico-razziale divenuto ideologia di Stato col Terzo Reich hitleriano. Nelle società europee gli stereotipi antisemiti si sono tramandati a livello popolare sul filo dell’ignoranza e del pregiudizio e sono stati spesso alimentati dalla frustrazione sociale e dalle paure inconsce dei ceti rimasti ai margini della modernità. Ma al radicamento e alla legittimazione culturale di tali stereotipi non poco hanno contribuito quei pensatori, filosofi e letterati che dell’antisemitismo hanno fatto una vera e propria dottrina. Soprattutto l’antisemitismo è stato ideologicamente trasversale. Ha assunto forme virulente e tragiche a destra, con il nazismo, ma non ha risparmiato la sinistra social-darwinista ottocentesca, il socialismo massimalista anticapitalista dei primi decenni del Novecento, i regimi del “socialismo reale”, il marxismo nella sua declinazione ortodosso-stalinista, certe frange rivoluzionarie dell’estrema sinistra.


Oggi, se possibile, la cosa si è ancor di più complicata, nella misura in cui l’antisemitismo, rimasto per secoli una malattia dello spirito europeo, ha assunto un carattere transnazionale e globale, sino a diventare uno strumento di propaganda e un fattore di scontro politico che si ha interesse ad alimentare per ragioni di cinica realpolitik.

Un caso tipico è la longa manus russa nelle scritte diffamatorie antiebraiche comparse massicciamente in Francia nelle settimane scorse: l’odio razziale e religioso usato come vettore di caos nel gioco tra potenze. Resta il fatto che il camaleonte dell’antisemitismo negli ultimi tre decenni è stato cavalcato con virulenza soprattutto dall’islamismo radicale in funzione anti-israeliana e, indirettamente, anti-occidentale. Nei Paesi arabi o musulmani esso è diventato un collante ideologico e un potente fattore di mobilitazione collettiva, un modo per nascondere dietro il fanatismo pseudo-religioso delle masse contro gli ebrei e il sionismo la mancanza di libertà cui esse sono costrette dai regimi cinici e violenti che le governano. 


Per molti degli islamici che vivono nei Paesi occidentali l’antisemitismo è invece divenuto il sentimento o l’abito mentale attraverso il quale esprimere, soprattutto le generazioni più giovani, il rifiuto – culturale e psicologico – delle società nelle quali si fatica a integrarsi o delle quali non si riescono a condividere valori e stili di vita. Come sempre nella storia, l’ebreo funziona da catalizzatore simbolico negativo di ciò di cui si ha paura e che si vorrebbe distruggere. Certo, poi ci sono anche, duri a morire, l’antisemitismo della destra radicale e nazistoide e quello, che si pretende teologicamente fondato, di certo tradizionalismo cattolico o fondamentalismo cristiano presente soprattutto negli Stati Uniti. Ma è davvero da questi settori politico-sociali minoritari e marginali, privi di qualunque legittimità e credibilità sociale, che viene oggi il pericolo, anche fisico, per gli ebrei che vivono nelle società occidentali? 


Chi è che sin dalla sua nascita ha sempre messo in discussione il diritto ad esistere di Israele? Chi è che continua a distinguere spesso in modo peloso tra antisionismo e antisemitismo, nascondendo quest’ultimo dietro controversie geopolitiche o un pacifismo di facciata? Chi è che dietro l’ebreo cosmopolita e senza radici continua a vedere il campione di un capitalismo rapinatore e distruttore del pianeta? Una risposta sincera a queste domande potrebbe riservare brutte sorprese. Si rischia di dover ammettere che esiste un pezzo di mondo – quello in senso lato arabo-musulmano – a dir poco ossessionato dal suo paralizzante odio antiebraico e dalla mistica sacrificale e auto-distruttiva che intorno ad esso ha costruito.  Si rischia altresì di vedere emergere pregiudizi e sentimenti di ostilità antiebraici anche tra chi, progressista della più bella acqua, è capace di ergersi a paladino dei diritti di tutte le minoranze del mondo tranne evidentemente una. Di dover riconoscere inoltre che un certo ecologismo anticapitalista, pauperista e catastrofista non è immune a sua volta da pregiudizi e luoghi comuni sugli ebrei, e che esiste una sinistra per la quale Israele – minuscola isola di democrazia in un mare di autoritarismo – non è altro che l’ultima incarnazione dello spirito colonialista e imperialista dell’uomo bianco dal quale si vorrebbero far discendere tutti i mali del mondo.


Risposte che si preferisce non dare. Meglio andare sul sicuro e prendersela, tra molte reticenze e tante bugie, con una destra che ci si ostina ad appiattire sul fascismo e su posizioni che fortunatamente non sono più le sue, a dimostrazione che le dure sconfitte e le pubbliche umiliazioni inflitte dalla storia a qualcosa talvolta servono. L’antisemitismo odierno non è una responsabilità della destra, pur essendolo stato nel passato in forme imperdonabili. Se si afferma il contrario è perché si ha paura di chiamare le cose col proprio nome, si temono gli scheletri nascosti negli armadi della propria casa politica e si tende ad essere troppo indulgenti con i propri amici e compagni di strada. Senza contare che gli antisemitismi, quale che sia la loro matrice, non si elidono tra loro, ma ahimé si sommano. Non basta combatterne uno, occorre sconfiggerli tutti.

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