Quasi sempre il gradualismo è il metodo più efficace per affrontare i grandi cambiamenti economici e sociali. Soprattutto in tempi di pandemia, quando le persone hanno bisogno di certezze ed è necessario trovare rapidamente soluzioni a problemi fin qui sconosciuti. Ed è questo il principale merito del Protocollo sul lavoro agile promosso dal ministero del Lavoro e sottoscritto ieri l’altro da ben 26 organizzazioni sindacali.
In vista della cessazione dello stato di emergenza, il Protocollo, dopo aver sottolineato i tanti vantaggi del lavoro agile - dalla riduzione del traffico cittadino alla miglior conciliazione dei tempi di vita e di lavoro - delinea una disciplina chiara e condivisa di questo nuovo modo di lavorare per consentire ad imprese e lavoratori di consolidare l’esperienza maturata nel corso del lockdown anche oltre lo stato di emergenza. Si chiarisce così, ad integrazione di quanto stabilito dalla legge del 2017, quale debba essere il contenuto dell’accordo individuale o la disciplina del relativo recesso o ancora il ruolo della contrattazione collettiva, e si definiscono alcune importati questioni relative all’orario di lavoro, dal superamento dello straordinario alla necessaria definizione del diritto alla disconnessione, dal luogo di svolgimento della prestazione, con il riconoscimento del diritto del lavoratore di scegliere dove lavorare, al dovere delle aziende di fornire le necessarie dotazioni tecnologiche e si precisano i diritti dello smart worker in tema di retribuzione, formazione e salute e sicurezza.
Mentre una legge avrebbe avuto il limite di irrigidire e probabilmente soffocare nel comando uniforme la molteplicità delle esperienze aziendali maturate nel corso dell’emergenza, un accordo concertativo, peraltro assistito da un consenso così ampio, segnala le soluzioni ritenute più efficaci dalle organizzazioni sindacali a problemi diffusamente sentiti da lavoratori e imprese, facendo comunque salve le discipline fin qui definite dalla contrattazione collettiva nazionale, aziendale o territoriale. Offre delle linee guida assistite da un significativo consenso senza irretire la libertà d’impresa o sindacale all’interno di soluzioni predeterminate dall’alto. E questo è un bene perché si tratta di un’evoluzione che riguarda milioni di lavoratori e imprese posto che, come dimostra l’esperienza maturata da grandi organizzazioni come l’Inps, la Cassa depositi e prestiti o ancora l’Enel, la rivoluzione del lavoro agile non si risolve nell’assegnazione di un computer ad un lavoratore libero di rimanere a casa ma richiede piuttosto il ripensamento della complessiva organizzazione aziendale, dalla digitalizzazione dei documenti e dei processi alla funzionalità dei luoghi o dei tempi di lavoro.
Un ripensamento che, per non risolversi in un danno alla produttività, agli utenti o ai consumatori, non può essere definito a livello nazionale da una legge o da un protocollo ma richiede di essere sperimentato ed implementato, eventualmente anche attraverso la contrattazione collettiva aziendale, all’interno delle singole organizzazioni.
Per essere realmente efficace, il lavoro da remoto, in quanto presuppone la de-materializzazione, almeno parziale, dell’impresa intesa come puro e semplice luogo di lavoro, impone infatti un ripensamento altrettanto radicale del modo di adempimento della prestazione in relazione alle specifiche necessità produttive dell’organizzazione all’interno della quale si inserisce.
E’ questo il vero banco di prova sul quale si misurerà il successo del lavoro da remoto e, a ben vedere, il salto culturale che dovrà essere compiuto da imprese, lavoratori e organizzazioni sindacali nella nuova normalità che ci attende: coniugare una migliore qualità e produttività del lavoro con modalità di organizzazione d’impresa più avanzate e sostenibili che non si risolvano in un danno per consumatori e cittadini.
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