Giuseppe Vegas
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La nuova quota 103 / Il taglio alle pensioni che logora gli ospedali​

La nuova quota 103 / Il taglio alle pensioni che logora gli ospedali
di Giuseppe Vegas
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Sabato 4 Novembre 2023, 23:37 - Ultimo aggiornamento: 5 Novembre, 00:29
Come raggiungere il risultato paradossale di stanziare un miliardo e 339 milioni per il prossimo triennio e fare contemporaneamente arrabbiare i destinatari di questa ingente somma è l’oggetto di una sciarada che sta tormentando le giornate di chi ha l’ingrato compito di scrivere, prima, e di far approvare, poi, la legge di bilancio per il 2024.
Vediamo cosa è successo. Il quarto comma dell’articolo 30 del disegno di legge di bilancio mantiene la possibilità di ottenere la pensione anticipata, rispetto a quella di vecchiaia, a condizione che si sia raggiunta la cosiddetta “quota 103”, che è il risultato della somma tra l’età anagrafica e gli anni di contributi pagati. Il tema dell’anticipo del trattamento pensionistico è stato ed è oggetto di accesi conflitti tra decisori politici, economisti, lavoratori e i loro rappresentanti sindacali. Soprattutto perché rappresenta un pericolo immanente per i conti pubblici. Non a caso, la questione demografica, che vede un preoccupante calo della popolazione giovanile, soprattutto in rapporto a quella anziana, turba i sonni dei molti che vedono in essa il principale rischio per il mantenimento della stabilità non solo economica, ma soprattutto sociale, nel nostro paese.
Logico dunque che, tutte le volte in cui si desidera modificare le prospettive delle linee di riforma che sono state perseguite nell’ultimo trentennio, è indispensabile calcolarne gli effetti sul bilancio dello Stato e, come prescrive l’articolo 81 della costituzione, definirne la relativa copertura finanziaria. È proprio questo il punto dolente della questione. Infatti, se la scelta della politica è di operare mutamenti agevolativi alla normativa vigente, occorre anche farsi carico della responsabilità di individuare lo strumento per farvi fronte: tagli di spesa o aumenti di imposte. Un onere che tutti cercano di evitare. E allora ci si affida agli artifici tecnici per cercare di sfuggire alla responsabilità, nell’illusione di risolvere la quadratura del cerchio. Ma non sempre funziona. Come nel nostro caso. 
Partiamo dal fatto che, per mantenere anche nel 2024 la possibilità di ottenere un pensionamento anticipato, sarebbe stato necessario reperire risorse assai cospicue e comunque non compatibili con i saldi di finanza pubblica, si è proceduto nel senso opposto. Quello di ritagliare la norma, in modo da limitarne il costo. Il contenimento della spesa è stato ottenuto solo in parte grazie alla previsione di un limite massimo al trattamento di pensione, fissato in quattro volte il minimo della pensione di vecchiaia. Ma l’asso nella manica è stato quello di stabilire che a tutti coloro che, avendone i requisiti, otterranno la pensione anticipata nel 2024 si sarebbe applicato, per il calcolo dell’entità del trattamento pensionistico, il metodo cosiddetto contributivo, anche con riferimento alle prestazioni lavorative prestate negli anni precedenti il 1995.
Come noto, la riforma Dini di quell’anno divise i pensionandi in due categorie: quelli che avevano già diciotto anni di lavoro a quella data e quelli che ne avevano meno. Ai primi veniva applicato il metodo cosiddetto retributivo e ai secondi quello contributivo. La differenza tra i due sistemi è che, nel primo caso, la pensione si calcola in quota percentuale sull’ultimo stipendio, mentre, nel secondo caso, il calcolo si basa sulla capitalizzazione dei contributi versati durante l’intera vita lavorativa. Calcolare improvvisamente l’entità della pensione sulla base dei contributi versati nell’intera vita porta ovviamente ad un trattamento di pensione assai diverso, ed inferiore, rispetto a quello che si aspettano tutti quelli che avevano manifestato l’intenzione di ottenere il pensionamento anticipato, e sul quale avevano costruito le aspettative per il loro futuro. Un fulmine a ciel sereno ed un vero stravolgimento del sistema di calcolo vigente. Tra l’altro, si deve tener presente che non si tratta di un conto agevole, dato che in molti casi, ad esempio in quello dei dipendenti pubblici, negli anni precedenti al 1995 l’entità dei contributi versati, quando erano previsti, era assai modesta. Inoltre gioca a loro sfavore il fatto che le aliquote dei contributi previdenziali sono andate crescendo nel tempo. I contributi versati in passato erano più bassi di quelli attuali e dunque la loro somma a quelli degli anni più recenti porta ad un abbassamento del loro valore complessivo, e quindi dell’entità della pensione.
La conseguenza è stata che gli interessati, delusi ed amareggiati, non si sono limitati a protestare, ma hanno indetto uno sciopero e, soprattutto, hanno manifestato l’intenzione di richiedere immediatamente il pensionamento anticipato con le vecchie regole, senza attendere che le nuove compromettano le loro aspettative di reddito. Se ciò avvenisse, la conseguenza non sarebbe solo quella di provocare un crescente onere per il pagamento anticipato delle loro pensioni e delle loro liquidazioni, ma, ad esempio, soprattutto nel caso dei medici, circa quattromila, secondo i loro rappresentanti, di mettere in crisi il Servizio sanitario nazionale, che già è carente di personale e, messo a dura prova anche dalla recente pandemia, si trova oggi nella difficile condizione di far fronte rapidamente all’accresciuta lunghezza delle liste di attesa. In una prospettiva di sempre più grave carenza di medici, in conseguenza sia del numero chiuso di accesso all’università, sia delle difficili condizioni di lavoro che spingono molti anche ad espatriare.
È facile immaginare quale sarà la conclusione della vicenda, dato che non avrebbe senso provocare l’ostilità da parte di coloro i cui bisogni si vorrebbero esaudire. È ragionevole anche prevedere che il riferimento al sistema contributivo verrà soppresso e che si troverà qualche altro rimedio per far tornare i conti all’interno della manovra finanziaria. Tutto bene quel che finisce bene, dunque. Ma la vicenda lascia un po’ di amaro in bocca.
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