Paolo Balduzzi
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Il nodo pensioni/ L’operazione verità per chi paga i contributi

di Paolo Balduzzi
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Giovedì 13 Aprile 2023, 00:11

Altro che Godot: chi aspetta, da anni, una riforma delle pensioni in Italia, dovrà attendere. Il Documento di economia e finanza, approvato due giorni fa dal Consiglio dei ministri, non ne parla. E “Quota X”, l’ennesimo intervento straordinario e transitorio introdotto nel 2018 e rinnovato dalla legge di bilancio 2023, è ormai diventato quasi strutturale, salvo cambiare il numero “X”, appunto, secondo le più opportune esigenze elettorali e i contingenti vincoli di bilancio. Ma sulla necessità di mettere mano alle pensioni vale la pena di chiarirsi le idee: a beneficio di chi? Perché è piuttosto evidente che ci sono tre tipi di interventi in campo previdenziale e ognuno di essi ha obiettivi differenti. Da un lato, le riforme strutturali che, ormai da qualche decennio, hanno l’obiettivo di rendere meno generoso il sistema pensionistico pubblico e quindi di mantenere sotto controllo nel medio-lungo periodo il rapporto tra la spesa previdenziale e il prodotto interno lordo.

Cadono in questa categoria le riforme degli anni ’90 del secolo scorso (Amato e Dini). Da un altro lato, gli interventi di correzione alle riforme strutturali, che solitamente servono a gestire fasi di transizione eccessivamente lunghe. Per esempio, pur essendo entrata in vigore nel 1996, ad oggi la riforma Dini si applica interamente solo a pochissimi pensionati ed entrerà a regime dopo il 2030. Appartengono a questa seconda tipologia, che ha prevalentemente finalità di risparmio finanziario immediato, quasi tutti gli interventi approvati dal 1996 al 2012 (la “scalone” di Maroni, la “finestra mobile”, la riforma Fornero, ecc.). Da ultimo, gli interventi che si possono definire elettorali, che invece di tenere sotto controllo la spesa previdenziale, la innalzano, a favore di specifiche categorie di lavoratori o coorti. Sono proprio queste ultime norme che creano grande incertezza, tanto sui veri beneficiari, cioè su chi sta per andare in pensione (chi ha intorno ai sessant’anni), quanto su quelle generazioni a cui mancano tra i dieci e i quindici anni alla pensione: in altre parole, quarantenni e cinquantenni.

La cattiva notizia per questi ultimi è che si tratta di età generalmente ai margini delle preoccupazioni elettorali del legislatore di turno; non certo ignorati come accade ai più giovani, sia chiaro: ma comunque poco considerati, se non quando si tratta di chiedere sacrifici fiscali. La buona notizia, invece, è che, nella maggior parte dei casi, si tratta proprio di coloro che hanno cominciato a lavorare dopo l’entrata in vigore dalla riforma Dini, lavoratori, quindi, cui si applicherà integralmente il metodo di calcolo contributivo. Perché è una buona notizia? Perché per questi lavoratori non ci sarà bisogno di ulteriori riforme o interventi: le pensioni saranno probabilmente più basse che in passato, vero, ma ci sarà anche maggiore libertà di scelta su quando andare in pensione. Presto, se ci si accontenterà di assegni più bassi, tardi, se invece ci si vorrà assicurare assegni più elevati. Il vero problema per queste generazioni non è allora tanto la certezza delle regole pensionistiche quanto la loro piena comprensione: come viene calcolata la pensione, quale livello avrà, se sarà necessario integrarla con una privata. Certo, per qualcuno ormai è già troppo tardi, soprattutto se si parla di integrazione. La colpa però non è certo di questo o di altri specifici governi. In generale, è responsabilità di una classe politica, passata e presente, cui manca il coraggio e la saggezza di raccontare scomode verità. Per fortuna, ci sono anche delle eccezioni. Per esempio, grazie al suo ex presidente Tito Boeri, qualche anno fa l’Inps ha finalmente reso disponibile per quasi tutti i lavoratori la cosiddetta “busta arancione”, un documento che contiene stime sulla propria pensione futura. Ma anche anticipi pensionistici come “opzione donna”, che permettono di ritirarsi dal lavoro trasformando la propria pensione retributiva in una pienamente contributiva, vanno nella giusta direzione di anticipare la sostenibilità del sistema pensionistico e di diffonderne la sua conoscenza. Forse, quindi, è inutile aspettare una riforma che non arriverà mai, come nella celebre opera di Samuel Beckett: molto meglio, piuttosto, raccontare la verità ai propri elettori.

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