Alessandro Campi
Alessandro Campi

Nuovi equilibri/La crescita dei Paesi Brics e i rapporti con Usa e Ue

di Alessandro Campi
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Lunedì 28 Agosto 2023, 00:18

I Brics (in origine Bric) sono un’invenzione della finanza internazionale: non è un’ipotesi complottistica, ma un dato di cronaca. 
Nel 2001 gli analisti della Goldman Sachs individuarono Brasile, Russia, India e Cina (più avanti anche il Sud Africa) come Paesi che per le loro caratteristiche - grandi dotazioni di materie prime, sistemi politici relativamente stabili, economie strutturalmente in crescita, società demograficamente dinamiche, abbondanza di forza lavoro a buon mercato, discreta capacità d’innovazione tecnologica - potevano risultare di grande interesse per gli investitori, a partire va da sé da quelli occidentali in cerca di rendimenti facili e sicuri.


Dopo poco più di vent’anni, in cui il mondo è molto cambiato a colpi di crisi finanziarie, emergenze sanitarie e guerre, quella sigla si è caricata di significati politici ed è diventata sinonimo di anti-Occidente. 
Non indica economie nazionali emergenti da integrare, nello spirito della globalizzazione, all’interno del sistema capitalistico globale trainato (anche culturalmente) dagli Stati Uniti, ma un blocco geopolitico che contesta le pretese egemoniche di questi ultimi (e dei suoi alleati in primis europei) e ambisce a governare da protagonista le dinamiche internazionali del presente e del futuro. 


Il vertice di Johannesburg della settimana scorsa ha segnato, da questo punto di vista, un salto di qualità, con l’annuncio di un sostanzioso allargamento del club originario e di un maggior raccordo operativo tra i suoi diversi membri: meno nel segno dell’informalità, sul modello del G7, e più in una chiave di cooperazione strutturale, attraverso dunque la sottoscrizione di accordi politici bilaterali e multilaterali, la messa a punta di partenariati commerciali e tecnologici e la creazione di strumenti e istituti finanziari comuni (già dal 2015 i Paesi Brics hanno dato vita alla New Development Bank in concorrenza col Fondo monetario internazionale).


Sembrerebbe l’annuncio di un nuovo nomos della terra, più equo e pluralistico. In effetti, esiste un serio problema di redistribuzione del potere su scala mondiale che trent’anni dopo la fine del bipolarismo americano-sovietico non si è riusciti ancora a risolvere. 
Il mondo, che qualcuno aveva immaginato unipolare dopo il crollo del Muro di Berlino, nel frattempo è divenuto sempre più policentrico e potenzialmente sempre più anarchico: non è nata nessuna potenza alternativa agli Stati Uniti, sono invece cresciute quelle continentali e regionali. Potenze economiche un tempo marchiate da un endemico sottosviluppo e che ora legittimamente aspirano al potere politico.


Ma i Brics, al di là della forza che esprimono e delle ambizioni che manifestano, sono un soggetto sufficientemente unitario? Qual è il loro vero collante? Al momento, una leadership politica riconosciuta e accettata, al di là della pretesa della Cina a guidare alle sue condizioni quest’associazione di Stati, non esiste. Non c’è unità nemmeno dal punto di vista ideologico, culturale e religioso, come era nel caso dei vecchi blocchi. Esistono inoltre disparità interne molto grandi tra i diversi membri (fa un po’ sorridere vedere insieme l’India che sbarca sulla Luna insieme all’Argentina sempre sull’orlo della bancarotta).


Alla fine il fattore aggregante rischia di essere solo un generico risentimento anti-occidentale di marca post-coloniale. Una postura ideologica oggi alla moda, ma intorno alla quale è difficile costruire un progetto politico che si vorrebbe alternativo al tanto vituperato ordine neo-liberista. In realtà, il paradosso dei Brics sembra quello di contestare l’egemonia economico-finanziaria dell’Occidente nel nome dei suoi stessi valori e delle sue stesse pratiche. 
Nessuno dei Brics parla di dare vita a un modello economico e di sviluppo alternativo a quello capitalistico, al massimo si punta ad adeguare quest’ultimo ai diversi contesti culturali e politici nazionali.

Anche la pretesa di costruire un sistema di scambi commerciali sganciato dal dollaro (e dall’euro) sembra aver prodotto sinora soltanto una curiosa forma di sovranismo monetario travestito da difesa del particolarismo culturale: per gli aderenti al Brics è importante - stando alle dichiarazioni fatte dal presidente sudafricano Cyril Ramaphosa a conclusione del summit di Johannesburg, «incoraggiare l’uso delle valute locali nel commercio internazionale e nelle transazioni finanziarie tra i Brics e i loro partner commerciali». 


Al dunque una richiesta minimale che peraltro contraddice l’ambizione a creare un sistema di pagamento internazionale alternativo alla moneta statunitense. Qualcuno ha voluto vedere nella galassia Brics qualcosa di simile al movimento dei Paesi non allineati all’epoca della Guerra fredda. Ma è un paragone fuorviante, nella misura in cui l’opportunismo geopolitico ed economico sembra la regola non scritta alla quale, almeno sinora, si sono attenuti sul piano dei rapporti politico-commerciali i membri, vecchi e nuovi, del Brics. 
Il loro problema non sembra l’equidistanza (anche ideologica) dalle grandi potenze, come nel passato, ma la capacità di fare affari con tutti secondo la propria convenienza. Dunque una forma di allineamento tattico e contingente dettato dal senso degli affari. I Brics contestano l’Occidente ma in molti casi - dall’Arabia Saudita alla stessa India passando per il Sud Africa - sono suoi partner strategici. 
Resta un ultimo particolare, a suo modo preoccupante. Se c’è una cosa che i Brics condividono è un’idea per così dire lasca della libertà e dei diritti. E se sono democrazie formali - come nel caso del Brasile o della citata Argentina - soffrono di una grande instabilità istituzionale e di profonde diseguaglianze sociali.
Al nesso strutturale e automatico crescita-democrazia, che era il cavallo di battaglia ideologico dei sociologi della modernizzazione post-Seconda guerra mondiale, oggi nessuno crede più.


Ma resta comunque una grande differenza, d’ordine culturale e valoriale, tra chi, come nel mondo occidentale non senza difficoltà e contraddizioni, cerca di legare la promozione del benessere collettivo alla tutela dei diritti individuali e chi, come i principali aderenti al Brics, sembra considerare sviluppo economico e pluralismo politico realtà indipendenti, al punto da sacrificare tranquillamente quest’ultimo al primo. Senza democrazia quale nuovo ordine del mondo si pensa di costruire?

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