Angelo De Mattia
Angelo De Mattia

Il caso Bce/ Le critiche (lecite) che alimentano la democrazia

di Angelo De Mattia
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Martedì 20 Dicembre 2022, 00:02

Non dovrebbe creare scandalo la critica rivolta da esponenti politici e di governo alle decisioni sui tassi della Bce che stanno per riflettersi, con l’aumento dei costi, sui mutui a tasso variabile e sui finanziamenti in genere a imprese e famiglie. E ciò, a prescindere dalle parole che vengono impiegate e da un’accettazione integrale delle critiche stesse. In base al Trattato Ue, la Bce non può sollecitare né ricevere istruzioni dai governi; questi ultimi non possono agire per influenzare gli organi della Banca centrale. Sono le diverse forme di indipendenza (istituzionale, giuridica, funzionale, operativa) che sono assicurate alla Bce per poter assolvere il mandato finalizzato a mantenere la stabilità dei prezzi. Riconosciuti questi confini, il contraddittorio dialettico è fondamentale per l’assetto democratico: non sarebbe tollerabile un’istituzione il cui agire non sia giudicabile e criticabile in un sano processo dialettico. Sarebbe singolare che, in un regime democratico fondato anche su pesi e contrappesi, si possano criticare le decisioni dell’autorità giudiziaria e della stessa Corte costituzionale, fino alle altre massime autorità dello Stato e pure a quelle religiose, ma ciò sia vietato nei confronti della Banca centrale europea e degli istituti che fanno parte dell’Eurosistema: una sorta di quis sicut deus? applicato alla Bce.

D’altro canto, ci sarebbe da chiedersi perché governi e Parlamenti, autonomi e indipendenti, dovrebbero esercitare una sorta di autolimitazione nei confronti della Banca centrale se non vale il reciproco. Si pensi per esempio alle critiche della Bce nei confronti delle politiche economiche e di finanza pubblica e, nello specifico, all’entrata in campo nel caso del Mes e della sua ratifica, tuttora sub iudice, da parte dell’Italia. Perché mai il governo italiano non dovrebbe obiettare? Peraltro, non è nell’interesse della medesima Bce configurarsi come una torre d’avorio, ma è invece interesse del Paese che esista una discordia concors: percorsi e fini intermedi diversi per raggiungere, però, un comune approdo finale. Alle critiche rivolte in sede politica alle banche centrali si risponde dalle stesse - senza che osservatori e commentatori si straccino le vesti - con argomentazioni ed evidenze, come dimostra per esempio la condotta della Banca d’Italia nelle fasi dei più duri attacchi, all’epoca dei governatorati Baffi (fino a quando non si manifestarono attacchi antidemocratici destabilizzanti), Ciampi e Fazio. In definitiva, tutto si riconduce ai modi e al merito delle tesi e delle antitesi.
In occasione delle ricordate ultime decisioni della Bce, è il loro insieme che ha suscitato legittime valutazioni critiche: aggiungere all’aumento dei tassi di 50 punti base l’annuncio di un linea ancora e più restrittiva, con due nuovi aumenti a distanza ravvicinata e con la programmazione della riduzione del bilancio dell’Istituto a scapito dei bond pubblici per una quantità mensile superiore ai 10 miliardi, è stato chiaramente eccessivo.

Si è tentato un bilanciamento per accontentare la posizione morbida sull’aumento dei tassi (50 punti base invece dei 75 previsti), ma ci si è nettamente sbilanciati sul futuro prossimo a favore della linea del miope rigorismo. E gli impatti negativi di mercato si sono prontamente verificati.

Se dal 2015 in poi si é ritenuto dalla Bce - come criticamente sottolineato da autorevoli commentatori - di inondare i mercati con liquidità illimitata; e se, poi, commettendo un gravissimo errore si è considerato, per oltre un anno, transitorio l’aumento dell’inflazione, ciò non è una buona ragione per correggere ora questi indirizzi e avviarsi a commettere l’errore opposto, trascurando i problemi della crescita e i rischi di recessione. Se è clamorosamente mancata una politica monetaria di anticipo, capace di incidere sulle aspettative, se il ruolo della presidente Christine Lagarde è stato ben al di sotto delle aspettative, con una mancante opera di sintesi e propulsiva, ciò non è una buona ragione per misure che vorrebbero essere carota e bastone per l’ulteriore annunciata restrizione: il contrasto all’inflazione non significa precludersi la considerazione degli altri fondamentali. Manca un raccordo tra politica monetaria e politiche economiche e di finanza pubblica - che però non possono essere guidate solo dalla prima in un presunto ruolo di supremazia - come manca un raccordo con la Vigilanza bancaria e finanziaria.
Sono ovviamente considerazioni, queste, cui si possono opporre controdeduzioni. Ma non si può affatto sostenere che le critiche disturbino il manovratore perché ciò è prima di tutto offensivo nei riguardi dello stesso manovratore.

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