Le finalità sociali dimenticate. Eppure 3000 euro non sono male (se ce li danno)

Le finalità sociali dimenticate. Eppure 3000 euro non sono male (se ce li danno)
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Lunedì 14 Novembre 2022, 12:00 - Ultimo aggiornamento: 22 Novembre, 15:00

Dopo il commento critico di Emmanuele Massagli (presidente Aiwa), anche Giovanni Scansani interviene a commentare (in due puntate) la norma “monstre” per il welfare aziendale, prevista dal DL “Aiuti-quater” che moltiplica oltre 11 volte la soglia di esenzione fiscale dei fringe benefit. Pregi e difetti dell’idea “tedesca” di Giorgetti e Meloni

Tra le “misure di sostegno per fronteggiare il caro bollette” (così rubricate dall’art. 3 del DL “Aiuti-quater appena approvato dal Governo), spicca senz’altro quella che nuovamente ridefinisce (è la quarta volta ed è la seconda solo quest’anno) la soglia di esenzione fiscale e contributiva dei fringe benefit.

Si tratta di un intervento che, nel quantum, certamente non è esagerato definire monstre: 3.000 euro (la misura “ordinaria” per questo tipo di benefit – previsti dall’art. 51, c.3 del TUIR – è invece molto modesta essendo pari a 258,23 euro). L’innalzamento appena deciso è dunque di oltre 11 volte!

È a dir poco un’iniziativa senza precedenti. O quasi. Sullo sfondo, infatti, ad ispirare i nostri politici (in particolare il Ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti), sono state le iniziative del governo tedesco che, per mitigare i danni dell’inflazione galoppante anche in Germania, hanno previsto (e proprio nella misura di 3.000 euro) la possibilità che le aziende possano riconoscere un “premio” ai lavoratori da attribuire da qui alla fine del 2024.

Noi, come si vedrà, abbiamo fretta e faremo prima. Molto prima.

Un’iniziativa rischiosa?

A poche ore dalla pubblicità data a questo intervento straordinario, molte sono state le levate di scudi di alcune voci del settore della ricerca e della consulenza nel campo del Welfare Aziendale (WA). Proprio riferendosi a talune dinamiche di questa diffusa e strategica “leva” di people management sono stati rappresentati alcuni possibili rischi conseguenti alla recente iniziativa di sostegno economico ed almeno per alcuni di essi la loro sussistenza (teorica) è indubbia. Tuttavia, nessuna di tali criticità si produrrà né, soprattutto, potrà sopravvivere anche ove si materializzasse e ciò, semplicemente, perché non ve ne sarà il tempo: la misura in questione, infatti, è del tipo “prendere o lasciare”. E vale solo per l’anno fiscale in corso: entro il 12 gennaio 2023 (per il principio di cassa allargato) questo importo (o una sua minor quota) dovrà essere stato percepito (ove se ne sia decisa la corresponsione), dopodiché fine della festa.

I veri rischi (più di quelli sin qui paventati a caldo) si annidano, semmai, dietro all’ipotesi che questa misura possa aprire le porte ad altro come accadrebbe, ad esempio, se vi fosse una stabilizzazione dell’incremento della soglia in questione in una misura tale da incrinare gli equilibri che il TUIR (anche grazie alle novità introdotte negli ultimi anni) aveva sin qui costruito e mantenuto (con l’unica eccezione proprio del valore-soglia dei fringe benefit rimasto bloccato, nella sua misura “ordinaria”, al valore previsto nel 1986 – anno della pubblicazione del TUIR ed a quel tempo pari a 500.000 lire – progressivamente ridottosi, a quasi quarant’anni dalla sua introduzione, a poco più che una strenna).

Tra libertà e finalità sociali

Ma andiamo con ordine e partiamo dall’intento del Governo presieduto da Giorgia Meloni che è senza dubbio meritorio: sostenere – velocemente e concretamente – i redditi dei lavoratori (“è un’altra tredicesima”, ha detto il Presidente del Consiglio: se te la pagano si potrebbe aggiungere).

L’obiettivo è dare respiro alle famiglie sia per contrastare le conseguenze della crisi energetica (il “caro-bollette”), sia per attenuare gli effetti di un’inflazione che il mese scorso aveva raggiunto quasi il 12%: un valore che non si registrava dagli anni ’80 del secolo scorso.

Si tratta, peraltro, della stessa meritorietà che ha contraddistinto anche precedenti (benché molto più contenuti) innalzamenti emergenziali del valore dei fringe benefit disposti dai governi di Giuseppe Conte e poi di Mario Draghi (una prima volta per le conseguenze economiche della pandemia e la seconda per quelle causate, sin da sùbito, dalle forti tensioni sui prezzi delle fonti di energia).

Come si ricorderà, dapprima si passò dai 258,23 euro “ordinari” a 516 euro per poi arrivare a 600 euro con la novità dell’allargamento al possibile pagamento o al rimborso delle utenze domestiche (cui aggiungere i 200 euro del bonus carburante che, fino a ieri, portavano il “pacchetto” dei fringe benefit a 800 euro complessivi).

La finalità specifica del contributo al pagamento (o al rimborso) delle bollette dev’essere sottolineata per rilevare il fatto che si tratta solo di una possibilità, non di una finalizzazione certa del beneficio riconosciuto ai lavoratori. È infatti il lavoratore che decide, del tutto liberamente (ma attenendosi, con il datore di lavoro, alle regole precisate dalla circolare dell’Agenzia delle Entrate n. 35 diramata il 4 novembre scorso) se e quanto portare a rimborso sulla base dei costi sostenuti per le utenze domestiche.

L’incremento della soglia di esenzione da 258,23 a 600 euro associato all’apertura verso questa nuova opzione di utilizzo dei fringe benefit mirava – un po’ fideisticamente – ad evitare di disperdere il budget pubblico assegnato alla misura (i mancati introiti a titolo di imposte e contributi) in quel grande fiume di beni e servizi (di qualsivoglia natura) rispettivamente ceduti o prestati per le più diverse esigenze (come è nello “spirito” dell’art. 51, c.3, TUIR).

Ora, questa è anche la finalità principale della novella normativa contenuta nel decreto “Aiuti-quater”, come la stessa rubrica del suo art. 3 dimostra, ma nondimeno continua ad essere non affatto detto che il dipendente la persegua e ciò, in primis, perché non vi è tenuto e soprattutto perché i fringe benefit assegnatigli in concreto potranno pur sempre essere da lui utilizzati anche (o interamente) per necessità del tutto diverse dal ristorno dei costi delle utenze domestiche (la scelta dell’allocazione del fringe benefit è libera).

Forse ci si affida alla psicologia dei consumi, ma allora un conto è disporre di una somma contenuta che, razionalmente, si può immaginare vada prima di tutto alle necessità economiche più urgenti (e tra queste anche il pagamento delle bollette), mentre altro è avere a disposizione “un’altra tredicesima” vieppiù corrisposta in fringe benefit (dunque poi concretamente erogata in “buoni acquisto”, gift card e “buoni carburante”, oltre che utilizzabile per il rimborso delle utenze) che, per il suo valore complessivo (e tanto più ci si avvicini alla soglia massima), apre le porte ad una capacità di spesa ben superiore e quindi più facilmente articolabile quanto alla sua destinazione (Natale è pur sempre alle porte).

In buona sostanza: c’è la meritorietà dell’iniziativa (siamo pur sempre il Paese che vanta i salari tra i più bassi nella UE), ma manca la meritorietà dell’ancoraggio strettamente welfaristico della manovra tanto più necessario proprio ed anche in considerazione dell’importo massimo in gioco (identico a quello dei Premi di Risultato e di poco inferiore alla soglia di esenzione stabilita dal TUIR per la defiscalizzazione dei contributi versati per l’assistenza sanitaria integrativa). Sarebbe stato possibile, ad esempio, definire delle aree di destinazione del benefit prefissate ex ante (come per molte altre esenzioni previste al TUIR) purché avente una chiara finalità “sociale” e verso le quali esclusivamente indirizzare l’utilizzazione dell’importo assegnato dal datore di lavoro. Per dire: oltre alle bollette, ci si poteva riferire ad altre classi di spesa corrente per le famiglie come nel caso dei generi alimentari, dei prodotti per l’infanzia o di quelli sanitari, come gli ausili ortopedici per i non-autosufficienti; quanto ai servizi si poteva cogliere l’occasione per sostenere quelli di cura e di sollievo dai suoi “carichi” che sono un fardello per molti lavoratori-caregiver). Così facendo si sarebbe avuta maggiore certezza rispetto all’effettiva finalizzazione del sostegno offerto e ciò non solo con riferimento a specifici bisogni, ma anche rispetto all’economia (che spesso è quella territoriale) che articola le risposte necessarie a fronteggiarli.

Si sarebbe potuto, insomma, creare un circuito virtuoso che avrebbe generato maggiori esternalità positive, creando valore lungo la filiera interessata. Sarà per una prossima volta.

Giovanni Scansani (*)

*Corporate Welfare Advisor, docente a contratto Università Cattolica Milano – www.scansani.net

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Leggi la nota del Presidente AIWA Emmanuele Massagli

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